La danza e il possibile

10 minuti

La danza per Paul Valery rappresenta la perfetta fusione tra l’esprit (spirito/mente) e il corpo dovuta al processo di addestramento delle proprie capacità mentali. È grazie alla reiterazione delle azioni che viene fuori la novità, il non identico. Valery oppone al movimento dei gesti quotidiani legati ai bisogni, all’utilità un movimento puro che esalta la vita in una molteplicità di vibrazioni. La danza non ha come interesse il corpo anatomico, non è la risposta ad uno stimolo che interessa a Valery ma la sua attenzione è rivolta verso il corpo vibrante. Causa di questa vibrazione è l’esprit che si incarna, che sogna d’avere un corpo con una specifica simmetria, una forma. La danza è una conoscenza incarnata, in essa avviene il superamento del dualismo mente-corpo. Nel danzare svanisce ogni distanza tra danza (oggetto) e danzatrice (soggetto). Il corpo della danzatrice non è un mezzo che trasmette un messaggio, ma è un soggetto che incarna della danza stessa, qualcosa della verità dell’essere e dell’esserci[1].

Questa unione creatasi ha come volto Athikte, una danzatrice che Valery presenta nel suo libro L’Anima e la danza. Athikte è padrona del suo corpo poiché lo ha esercitato, lo ha allenato ripetendo ed esplorando le sue funzionalità. Qui è la differenza tra il camminare e la danza, tra il corpo-organismo e il corpo danzante. Athikte diviene danza, movimento proprio per il risultato del lavoro sull’intero corpo facendo emergere il suo funzionamento necessario, il suo essere animale. Lo scopo di Valery è trovare un’unione tra l’organismo e il corpo vibrante, raggiungendo quella perfezione dell’automatismo che chiama automatismo finale[2].

Con la danza il corpo diviene energia libera, l’unione delle possibilità ripetute infinitamente dal finito. In questo sforzo la ripetizione non è più quella dell’identico ma quella del differente, dell’autentico che Gilles Deleuze chiama ripetizione vestita[3]. È quest’ultima che nella danza fa affiorare la potenza creativa dell’esprit. Ripetizione come metamorfosi che rende l’opera attività, dove l’esprit è libero di trasformare e trasformarsi in un continuo movimento. L’opera e il creatore sono inseparabili cosi come la danza e Athikte.

Il creare è l’atto in cui le due ripetizioni si incontrano, dove il differente subentra in una rottura con l’identico. Modificandosi l’uomo costruisce il suo spazio espressivo che gli consente di relazionarsi con gli altri, di dialogare. Questo è evidente nell’architettura dove la figura dell’architetto incarna il proprio Système. Come l’architettura è la fisica dello spazio cosi la danza è la scrittura dello spazio sotto forma di coreografia. La danza produce nuove realtà dove in esse l’individuo può riconoscersi non più come un corpo organismo ma come un corpo consistente, recitato dall’esprit in cui ciò che si cerca non è più l’utilità ma la bellezza.

La danza in questa sua finalità senza scopo, citando Kant, mira a essere potenza simbolica senza mediazioni, attingendo a quella che Stephane Mallarmè chiama divinazione ideale[4]. La danza diviene segno del linguaggio, metafora; rimparando a parlare, ripetendo i passi danzando l’esprit si esprime come la penna su un foglio. Il corpo nel suo mouvant si rinnova continuamente ed è in questo procedimento che l’esprit punta all’ineffabile. È nella virtualità di ciò che sta per accadere, nella parola non ancora pronunciata che giunge la danza. Valery vuole demarcare il corpo danzante in rapporto al suo fallimento. Questo fallimento assume la forma del silenzio, dell’assenza. Valery gioca sul campo del non ancora accaduto concentrando tutta la sua attenzione sull’attimo in cui il suono, la parola subentra, rompendo quella potenzialità. Il corpo prende maggiore consapevolezza di sé in questo allontanamento, nella sottrazione. L’autore tratta un grado più profondo in cui il corpo è consapevole del suo slancio verso il differente. Danzare per Valery è entrare in contatto, stabilire una relazione con l’indecifrabile, prendere parte al movimento esprit-mondo partecipando in esso con una forma, mai definitiva. Valery fa intendere come il corpo e il movimento siano un’unica presenza e che della danzatrice non si può vedere altro che il suo corpo in moto. Nel movimento, nell’ordine che crea la danza, Socrate e i suoi amici (nell’Anima e la Danza) si abbandonano alla contemplazione di Athikte. Il nome di Athikte deriva dall’aggettivo athiktos che significa non toccato, intatto. Valery vuole porre l’attenzione sull’automatismo finale dove la ripetizione affonda nel differente. L’azione pura è questo continuum che si esplica come una serie indefinita di imprevedibili novità. Ed ecco come ci è più chiara la frase che l’autore francese riporta nell’Idea fissa: l’automatismo è uno sviluppo interamente determinato da un qualsiasi avvenimento iniziale[5]. La sua filosofia è questo ritorno a ciò che non è ancora. Questo ritorno allo stato nascente della cosa porta Valery a rivedere gli elementi intorno a sé, a riconoscere gli oggetti come nuovi, come se riacquistasse lo sguardo di un bambino.

Un esempio di questo concetto lo notiamo nell’immagine della conchiglia nel testo Eupalinos o l’architetto. In essa troviamo l’unione del tema dell’architettura e del possibile, di ciò che puòessere costruito, regolato, utilizzato e ciò che sfugge ad ogni tipo di senso, di schema. Ciò chemette in luce Valery con il simbolo della conchiglia è l’importanza della potenzialità creativa. In questa virtualità infinita l’uomo vi nuota, nella ripetizione delle onde si fa onda, si fa espressionedell’esprit. Nel nuotare come nel danzare avviene quello che Valery propone come ascesi ossial’addestramento di sé attraverso l’azione che sta svolgendo, incarnando compiutamente e senzaresidui, il principio stesso del nuoto o della danza.

In conclusione notiamo come sia nel movimento ripetitivo dell’onda, nel passo danzante che avviene la piena uniformità della multiformità dove corps, esprit, monde sono autenticamente e automaticamente in relazione. Fuori dal movimento tutto cessa di essere, il corpo vibrante torna ad uno stato di quiete, di morte (apparente) in cui il corpo smette di sognare l’esprit. Cosi Athikte alla fine, dopo aver sorretto tutto il suo peso su di un alluce, in un’ultima posa crolla stremata come un’onda che si infrange sugli scogli. Non la vediamo che in procinto di cadere[6], sosterrà Socrate, infatti tutto il movimento si racchiude nell’immediato. È in quell’istante che si svela il presente reale, in cui il potenziale irrompe in tutta la sua forza negativa. È nel fallimento che si gioca tutto dato che è grazie ad esso che si ritorna al silenzio, all’attesa. Nello stato di quiete, in cui appare morente, Athikte ritorna a palpitare in una condizione né di morte né di vita. Pur essendo esausta la danzatrice si sente felice, felice d’essere in procinto d’essere, in un nuovo stato nascente. La danza diventa potenza pura in procinto della sua morte, un abbandonare la contemplazione in favore dell’azione che verrà. Nel momento in cui si ritira l’onda del mare, si prepara a ritornare: La mer, la mer toujours recommencée[7].

Articolo di Leonardo Gregori


[1] C. Sinibaldi, Essere e danza: il concetto fenomenologico e mistico di danza in Paul Valéry, “Annali di studi religiosi”, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2000, p. 172.

[2] Ibidem.

[3] G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 95.

[4] C. Di Rienzo, Mallarmé e Valéry: leggere la danza, “Agalma”, Roma, 2012.

[5] P. Valery, L’Idea fissa, cit., p. 104.

[6] P. Valery, Poesie e il dialogo l’anima e la danza, cit., p. 199.

[7] P. Valery, Opere poetiche, cit., p. 196.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Ultimi articoli di Redazione