Anti-manifesto

Italo Calvino trasse il nome del protagonista del suo celebre romanzo, il Signor Palomar, da un osservatorio astronomico statunitense, racchiudendo nel carattere del suo personaggio la virtù della vista e dello sguardo ammirato. Il Signor Palomar scruta, esamina, corre con l’occhio alla ricerca della perspicuità che emerge dalle cose, talvolta in una stasi paralizzante. 

Palomar è sinonimo di superficie. 

Ma Palomar, nelle intenzioni dell’autore, rimanda anche al palombaro, e dunque allo scandaglio, all’attrezzatura – pesante, che talvolta soffoca – di chi s’immerge dove il sole non arriva e giunge a toccare un silenzio sconosciuto agli esseri di terra, in quel mare che è un buon posto per i pesci, ma non per gli uomini. 

Palomar è sinonimo di profondità. 

È dunque la scoperta della molteplicità dei piani di analisi ad imporre di immergersi nelle profondità dei concetti e di riemergere per portare al mondo ciò che gli abissi hanno generato. 

Palomar, infine, è sinonimo dell’andirivieni della caverna platonica; movimento che – a sua volta – non è che l’allegoria dello scambio fra il mondo e le idee, fra la pennellata di colore del pensiero e la luce preesistente che la rende visibile: si riflette e si è ri-flessi.

Un doppio animo, che si riversa nei propositi di questa rivista. Ma oltre allo sbalordimento, quasi vertiginoso davanti alla realtà, così complessa, e al pavido sondarne i meandri, una ricerca famelica delle proprie posizioni. Non si deve, e non si può rimanere neutri, è inevitabile – una condanna – prendere una posizione. Con tenacia, è doveroso riuscire a plasmare una propria idea, unica, perforante e personale.

Ecco, di nuovo, Palomar 

Palomar esamina, osserva, scruta, valuta, e agisce. Il suo sguardo taglia la realtà, divide, fa implodere i suoi idoli, porta alla luce i suoi a priori storico-culturali. Come Palomar, vogliamo inabissarci dionisiacamente nei fondamenti nel senso senza perdere aderenza con la superficie apollinea della Lebenswelt. Vogliamo essere superficiali per profondità, come i maestri greci.

E tuttavia Palomar siamo io, te e chiunque ancora continua a meravigliarsi, appassionarsi e a sgranare gli occhi davanti allo stupore del mondo. Perché se è vero che la filosofia è dialogo costante intorno al Logos, essa resta legata al pathos da cui trae origine. Palomar è colui che non vuole un sapere a-patico ma si lascia elettrizzare dalla torpedine marina.

Siamo mossi dalla convinzione risoluta che la filosofia abbia ragione d’essere solo se schiude orizzonti epistemici e produce ethos di comportamento per il presente senza rinchiudersi nel palazzo d’avorio della cultura, erudita ed eterea. L’iperuranio non può che trarre i suoi modelli dal qui ed ora. 

Una filosofia per il presente, quindi, che ne tematizzi le urgenze. Che prenda posizione. Che indichi soluzioni e orizzonti di trasformazione possibile. Una filosofia dell’ambiente. Una filosofia del virtuale. Una filosofia viandante, che perlustri il mondo in lungo e in largo per afferrarne, o almeno sfiorarne, il senso. 

Ecco, ancora una volta, Palomar 

Sapere aude! Ma una cultura sclerotizzata è schiava di se stessa, quindi può schiavizzare. Ci vuole serietà senza seriosità. Bisogna camminare, e la filosofia può dare strade o scarpe, segnalare burroni o  talvolta crearne. Ma prima di correre troppo, cominciamo con un passo: Palomar. 

Perché una rivista di filosofia? Ne serve davvero un’altra? Probabilmente no. Una rivista è qualcosa di irrimediabilmente vecchio, che nemmeno la digitalizzazione riesce a rivitalizzare. Un’invenzione sorpassata. Nondimeno, proprio per la sua intempestività, può creare concatenamenti inaspettati, far zampillare dalle profondità subacquee delle bolle che nulla hanno a che fare con l’industria culturale corrente, degli interstizi d’aria per un uomo a venire, che finalmente potrà respirare. Oppure può correre su una linea autenticamente superficiale, schiacciare umoristicamente sul presente la forma-rivista finché essa non esploda o dissolva, finché la cultura non si alleggerisca al punto da divenire automatismo, da abbandonare l’uomo. Accelerare il processo, scriveva Nietzsche.

Una, cento, mille voci: Palomar.