Su “Effetto queer. Un dialogo mancato sui destini della sessualità”

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Vari spettri si sono aggirati e si aggirano nella cosiddetta “modernità”, “tarda” o “post” che sia: da qualche anno, il gender irrompe sulla scena del mondo, soprattutto occidentale. Sulla scia di quella che si ritiene, col MeToo, una nuova ondata femminista, le sperimentazioni concettuali e le costruzioni teoriche post-differenza, post-strutturaliste, post-umane, non potevano che entrare nell’agone politico e intellettuale. Movimenti storicamente antagonisti hanno trovato rinnovate polarizzazioni, dai dibattiti talvolta parodistici sul “politicamente corretto” alla più inquietante ascesa dell’estrema destra, ma anche all’interno dei movimenti di stampo critico nuove fratture si sono configurate. L’incipit ben riuscito dell’ultimo libro di Éric Marty coglie il punto: «Il genere, gender, è l’ultimo grande messaggio ideologico dell’Occidente al resto del mondo.»[1]

Le ideologie, in senso ampio, sono strumenti di lotta. Così è contro la cosiddetta “ideologia gender” che la Chiesa Cattolica combatte, ed è in nome del “genere” che si portano avanti battaglie in tutti i campi, dal giuridico, al medico, al sociale. Se il concetto di “genere”, con la traversata post-strutturalista e gli studies americani, pare non avere definizione precisa, o quantomeno presenta contorni sfumati, questo è più evidente per il significante queer, parola-chiave di origine dispregiativa, che nell’introduzione a livello accademico di Teresa De Lauretis ri-concettualizzava quei “soggetti eccentrici” che si sottraevano a una definizione in un quadro etero-normativo. “Queer” è dunque nome di un arcipelago più che di una teoria, un approccio, o un movimento.

Ma è un significante, si potrebbe dire con Lacansignificante-padrone”, che ha effetti potenti. La psicoanalisi e la psichiatria, in questo scontro, non potevano rimanere estranee. Se Freud era stato progressivamente aperto nei confronti dell’omosessualità, ciò non valeva per molte correnti successive. In Italia, la cosiddetta “Stonewall italiana”, meno mitologica di quella americana, ma con personaggi altrettanto mitici come Mario Mieli, ebbe luogo nel 1972 a un convegno di sessuologia con psichiatri a Sanremo: solo l’anno dopo Franco Basaglia fondava Psichiatria Democratica. Oggi, nella nuova ondata, la questione dell’identità “di genere” ritorna in primo piano. La psicoanalisi, la psichiatria ne sono di nuovo investite, non solo sul piano istituzionale, come il caso controverso della Tavistock Clinic, ma anche sul piano teorico. Nel 2019, il famoso filosofo trans Paul B. Preciado pronuncia una conferenza dinnanzi all’École de la Cause Freudienne de Paris, pubblicata poi col titolo Sono un mostro che vi parla[2]: la psicoanalisi è di nuovo chiamata sul banco degli imputati, oggi, per la sua impostazione etero-cis-patriarcale.

Il volume qui presentato, Effetto queer. Un dialogo mancato sui destini della sessualità (Orthotes, 2024) offre un ulteriore tassello al dibattito tuttora in corso. Un dialogo serrato e approfondito tra gli psicoanalisti Sergio Benvenuto e Paolo Cotrufo con Giovanni Torti offre qui un’apertura su un dialogo più ampio a carattere laico, che sa non indietreggiare davanti all’inevitabilità del conflitto. Toccando tutte le angolature della questione, dal binarismo a una definizione di “gender”, dallo statuto della psicoanalisi alla differenza sessuale, con allargamenti di carattere storico-antropologico, le posizioni possono esprimersi, i temi essere sviscerati o criticati, fornendo al pubblico italiano uno spaccato di come problemi all’apparenza eterni, eppure attuali, quali l’identità o il sesso, possono animare anche un campo ancora attuale, forse perché strutturalmente inattuale, come la psicoanalisi. Insieme alla trattazione di carattere più sistematico, teorico della psicoanalista Gemma Zontini, l’intervento della studiosa Sara Fontanili pone quella domanda a cui si viene chiamati a rispondere oggi: Alla psicoanalisi serve una transizione? È complesso stabilire, ma importante indagare, se la psicoanalisi sia esclusivamente quella scienza borghese, edipica, normativa o racchiuda non solo le precondizioni delle “teorie queer”, ma anche gli strumenti per avviare un processo di “transizione”. Per Sergio Benvenuto, la psicoanalisi è già queer, molto più di alcune derive contemporanee di quello stesso arcipelago. Allo stesso tempo, Fontanelli sa mettere in tensione alcuni assunti emersi nella conversazione riportata nel libro, portando l’esperienza reale dei soggetti queer, contrapponendo quella vulnerabilità della queerness che fa comunità.

A chiudere, la testimonianza di Ale, persona transgender, che accetta di condividere la sua esperienza concreta e aprirsi a un breve confronto con Paolo Cotrufo. La singolarità di una storia personale permette di calare discorsi che possono, talvolta, apparire disincarnati, laddove è il corpo a essere il tema ricorrente. Del resto, se il reale è ciò che sfugge sempre a quel che se ne può dire, il reale del corpo e del sesso non fa eccezione. Rimane però la storia, che è storia di un soggetto, o meglio storia in cui un soggetto va continuamente a reperirsi, storia di cui il suo corpo, attraversato dal sessuale, è intelaiato. L’aggiunta di questa testimonianza è dunque preziosa, nella direzione di ciò che la psicoanalisi ha da sempre come riferimento, cioè il soggetto nella sua cosiddetta “differenza assoluta”: tutto ciò è assimilabile a una pratica queer? Il dibattito è aperto.


[1] É. Marty, Il sesso dei moderni. Pensiero del neutro e teoria di genere, Roma, Castelvecchi, 2024, p. 1

[2] P. B. Preciado, Sono un mostro che vi parla, Roma, Fandango, 2019

Mattia Giordano

Classe '95, milanese, laurea magistrale in Psicologia, appassionato di psicoanalisi, filosofia, teoria critica, letteratura per lo più italiana e francese. Anche di cinema e teatro, perché ci sono, e ci saranno sempre, film e spettacoli belli. Musicista e scrittore a tempo perso, si spera un giorno a tempo pieno. Ha fatto un po' di tutto, quindi, probabilmente, niente.

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