Serve una filosofia dell’ambiente che tematizzi la crisi ecologica contemporanea. Quale relazione tra filosofia e ecologia?
Filosofia e crisi: un’introduzione
La parola crisi non è estranea al campo semantico della filosofia. Anzi, vi partecipa costitutivamente sotto almeno tre declinazioni: scaturigine, tonalità, portato. Punto primo: la filosofia scaturisce dalla messa in discussione di un certo status quo. La pars-costruens nasce da una pars-destruens, che si traduce per lo più nell’analisi e nella decostruzione di un certo sistema di pensiero. Si veda il caso di Socrate. Punto secondo: consapevole di non sapere, la filosofia si nutre di critica e autocritica. Non produce verità date, ma sta sempre all’erta, è una ricerca mai sazia. Punto terzo: la filosofia è un sapere dissidente, che si insinua tra le crepe, e che di crepe ne produce di altrettante. I tre punti sono strettamente correlati.
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Ma quale relazione è possibile tra filosofia e crisi ecologica?
Entrata a pieno titolo tra le emergenze del III millennio, la crisi ecologica è una di quelle da cui la filosofia non può prescindere. Richiede di essere tematizzata in profondità. E una filosofia che intenda esaminare il presente – una filosofia per il presente– deve mettere a sistema i propri strumenti euristici con le così-dette “scienze dure”, in vista di un cambiamento di paradigma. Lo si è già ribadito in altri luoghi. Ma in che senso?
In un saggio del 1970 Le radici della Crisi Ecologica, l’antropologo, sociologo e psicologo britannico G. Bateson coglie con lucidità la portata del problema, e la sua analisi, a cinque decenni di distanza, resta attuale. La crisi ecologica ha radici profonde che vanno ricercate in tre fattori correlati: i) progresso tecnico; ii) aumento della popolazione; iii) idee tradizionali sulla natura dell’uomo e sui suoi rapporti con l’ambiente. Due volte su tre, almeno, la filosofia può avere voce in capitolo ed offrire un contributo di valore. Ma ogni cosa a suo tempo.
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Le indicazioni di Bateson: un approfondimento
Cos’altro ci dice Bateson? Che i tre fenomeni che sono posti alla base della crisi ecologica sono – e qui il discorso sembra complicarsi – autocatalitici, più volgarmente si auto-esaltano e si intensificano l’uno con l’altro.
Più numerosa è la popolazione, più rapida è la crescita; più perfezionata è la tecnica, maggiore è il numero delle nuove invenzioni; e più crediamo nel nostro “potere” su un ambiente ostile, più “potere” ci sembra di possedere e più disprezzabile ci sembra l’ambiente.
Gregory Bateson
L’unico punto di accesso per l’inversione del processo risiede, secondo il nostro autore, nel rivolgimento dei nostri atteggiamenti tradizionali verso l’ambiente, con radici nella rivoluzione industriale.
E vale qui la pena riassumerli perché la sintesi di Bateson è un compendio di rigore e chiarezza:
a) Noi contro l’ambiente.
b) Noi contro gli altri uomini.
c) È il singolo che conta.
d) Possiamo avere un controllo unilaterale sull’ambiente e dobbiamo sforzarci di raggiungerlo.
e) Viviamo all’interno di una “frontiera” che si espande all’infinito.
f) Il determinismo economico è cosa ovvia e sensata.
g) La tecnica ci permetterà di attenuarlo.
Le radici della crisi ecologica risiedono nelle pratiche di pensiero, e nei correlati abiti (nel senso dell’habitus antropologico) di comportamento che informano la nostra quotidianità. Pratiche e abiti sedimentati nella forma mentis occidentale. Ed ecco, che la filosofia, in quanto sapere votato per definizione alla profondità, può e deve trovare un terreno di innesto e trasformazione.
Pena la distruzione. «La creatura che la spunta contro il suo ambiente distrugge se stessa». Di nuovo, la formulazione di Bateson, è oltremodo icastica.
Ma allora che si fa?
Post-umanesimo: filosofia, antropologia e politica
Quando l’ambiente cambia, ci si adatta o si estingue. La legge evolutiva non fa sconti, neppure agli uomini, che tra gli organismi insediati sul pianeta Terra sono certamente i più tracotanti. Peccano di hybris, direbbero gli antichi Greci, e di hybris ci parla anche Bateson, soprattutto in riferimento agli occidentali. E aggiunge: «La nostra non è l’unica maniera di essere uomini. Nuove filosofie politiche, educative e tecniche devono essere discusse tanto all’interno del governo quanto sulla stampa, e specialmente tra i cittadini più autorevoli».
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Ma che significa poi essere uomini? E c’è una sola maniera di esserlo?
Una certa filosofia contemporanea, che prova una disaffezione sempre più evidente per le metafisiche della sostanza – tra cui anche la sostanza “uomo” -, rivendica con sempre maggior frequenza proprio una vocazione post-umanista. Non c’è solo l’uomo. L’uomo non va inteso come una sostanza ab-soluta, nel senso di irrelata e autosufficiente rispetto al suo ambiente. Ed ecco che la strada della filosofia incrocia quelle dell’antropologia e della filosofia politica più recenti, che guardano all‘ambiente, e più diffusamente a non umani come soggetti politici.
Conclusioni
Si dice – ci ricorda sempre Bateson – che: «in medicina alleviare i sintomi senza curare la malattia è ragionevole se e solo se la malattia avrà sicuramente (i) un esito mortale oppure (ii) guarirà da sé».
Se per ovvie ragioni la prima eventualità non è auspicabile, la seconda è ai limiti della fantascienza pure per i più ottimisti. La crisi ecologica non si risolverà da sé. Ergo, la crisi dell’umanità, che è parte dell’ecosistema, non si risolverà da sé.
Vale la pena ribadirlo. La creatura che la spunta contro il suo ambiente distrugge se stessa. Serve una filosofia dell’ambiente.