Questioni di “identità”: polarizzazioni e vie di fuga

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Si può fare a meno dell’identità? Cosa implica l’adesione alla logica dell’identità? Identità=sostanza?

“Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.” (Pirandello, Uno, Nessuno e Cento Mila)

Questioni di identità: per un’apprensione interdisciplinare

Riflettere sul concetto di identità comporta l’avvio di una revisione concettuale trandisciplinare poichè l’oggetto di apprensione – l’identità in strictu sensu – sfugge da tutte le parti, sconfina. L’identità si fa “beffe”, fuor di metafora, delle semplificazioni analitiche e dei loro derivati, che obliandone genesi e poliedricità, naufragano non dolcemente presso il suo mare.

Quando sono in gioco le questioni di identità, – e così dovrebbe essere in ogni atto d’apprensione concettuale – la filosofia non può dunque peccare di tracotanza limitandosi a svolgere una riflessione tutta interna al proprio perimetro concettuale, pena il fallimento in concorso di colpa, nonchè l‘ottundimento della vocazione originaria del logos ellenico, l’apprensione della complessità.

A quale discipina si può rivolgere dunque la filosofia? Con chi può intrecciare i suoi discorsi per circuire l‘hybris dell’autoreferenzialità?

Con chi può contessere il suo filo d’Arianna per evadere la via maestra della settorializzazione disciplinare?

Ossessioni identitarie e reificazioni: in dialogo con Remotti

Senza pretese di esaustività si sceglie qui l’antropologia, e per il principio della pars pro toto, la riflessione snodata da Francesco Remotti in Ossessioni Identitarie”, testo edito da Laterza nel 2010, gemellato al precedente “Contro l’Identità” del 1996.

Nel volume, è lo stesso Remotti a scegliere la filosofia come interlocutrice silenziosa e dispensatrice di nozioni imprescindibili per dialogare di questioni di identità, e per una ragione ben precisa. La logica dell’identità si regge sull’ architrave metafisica della sostanza, ergo dell’immutabilità e della reificazione sul duplice asse spazio-temporale. La notizia dell’identità viene dal concetto di sostanza, “che esprime la prerogativa di perdurare nel tempo e presentarsi intatta nello spazio”.

“Il concetto di identità, per come è costituito, implica l’esclusione dell’alterità, che è irrimediabilmente altra, ed in quanto tale sottoposta ad un gesto (violento) di separazione”.

Tra gli autori che segnalano una via altra, lastricata dai temi della dissoluzione dell’io, del riconoscimento reciproco, e della deviazioni aprenti dalle vie maestre, Remotti menziona a vario titolo Pascal, Nietzsche, Hegel, nonché Wittgenstein.

All’antropologia Remotti assegna un compito ben preciso, che pare all’autrice ragionevolmente, e doverosamente estendibile alla filosofia, richiamata qui foucaltianamente al compito asketico del “pensare altrimenti”.

“L’identità non dovrebbe essere un oggetto analitico per gli antropologi (filosofi): non dovrebbe essere un oggetto per spiegare, ma da spiegare, descrivere, comprendere, nelle sue ragioni e colto nelle sue implicazioni.”

Identità, impoverimento, speranza: note a margine

Come si fa identità? Cosa comportano le polarizzazioni identitarie, irrigidite su stesse e sottratte al piano della storia?

Remotti avanza una tesi ben precisa:

“Con la rivendicazione di identità si chiede che venga riconosciuto un nucleo sostanziale, posto a monte e preliminarmente rispetto ai diritti e alle caratteristiche invocate come contraddistintive: se ne fa una questione di principio. Farne una questione di principio significa sottrarre il “noi” e le sue prerogative alla discussione da parte degl altri: l’identità è di per sè un indiscutibile”.

Se la filosofia continua ad avere un senso, è nella misura in cui può contribuire a scalfire le questioni di principio, tracciandone una genealogia sul piano della storia, non dell’entità e delle sostanze, in alcun modo degli e dalla parte degli -ismi. Esercitare la filosofia significa allenarsi all’apprensione della complessità, dunque dell’equivocità, della contraddizione, della molteplicità, per cui per esempio, monismo=pluralismo.

Se la tesi presentata da Remotti in chiusura coglie nel segno – la reificazione dell’identità può essere intesa come causa ed effetto dell’impoverimento culturale, ossia della riduzione drastica dei modelli di pensiero e per il pensiero – allora la filosofia può forse contribuire a conservare la speranza di Pandora.

Di sola identità – scriveva Remotti nel testo del 1996 – si muore.

Alexia Buondioli

Laureata in Filosofia Teoretica ed iscritta alla magistrale di Scienze Filosofiche presso Unimi, individuo nella scrittura e nel viaggio le mie frontiere esistenziali. Mi nutro di attività sportiva, relazioni interpersonali e caos creativo.

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