Estetica della resistenza invisibile a una realtà gassosa. Su «Ipnocrazia» di Jianwei Xun

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Fra le più celebri fiabe dei Fratelli Grimm vi è quella del pifferaio di Hamelin, nota ai più come quella del pifferaio magico. Secondo questa fiaba, il pifferaio ha il potere attraverso il suo strumento musicale di allontanare i topi dalla città, ma una volta che non riceve il pagamento dovuto dal borgomastro, usa il piffero per allontanare i bambini della città e rapirli. Si immagini di trasporre questa storia nella contemporaneità: al posto del pifferaio magico si immagini di mettere persone come Donald Trump o Elon Musk, che attirano gli ultimi e gli emarginati alimentando la loro rabbia verso il sistema, ma in realtà intrappolandoli in una realtà fatta di bugie da cui difficilmente riescono a uscire.

Non è un caso che si siano nominati Trump e Musk. Non soltanto perché sono i modelli più lampanti di retorica populista e di manipolatori dell’opinione pubblica attraverso i social media e la tecnologia, ma anche perché sono oggetto di studio di Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà, saggio del filosofo Jianwei Xun edito da Tlon con traduzione di Andrea Colamedici. Ipnocrazia parte dal seguente presupposto: «la realtà si è rotta in mille realtà». Ipnocrazia non si limita semplicemente a dire come sia difficile distinguere fra il vero e il falso, ma compie un passo in più: non ci si ritrova più di fronte a una sola realtà, ma a tante realtà. Quella che era una realtà solida adesso è diventata gassosa, porosa, malleabile. Si può trasformare a seconda dell’andamento dei tempi, e si adatta sulla base dei dati che si condividono sui social. Mantenere, però, la solidità di questa realtà significa tenere in scacco chi la deve percepire facendo proprio come il pifferaio di Hamelin, ovvero mantenendo un’eterna fase di trance ipnotica che porta i più ad alimentare queste nuove realtà eseguendo gli stessi gesti meccanici come la ripetizione continua di slogan oppure lo scroll ininterrotto di post sui social a cui l’algoritmo ci sottopone che trasformano la simulazione di realtà in realtà stessa.

La critica ha presentato Jianwei Xun come erede di filosofi come Jean Baudrillard e Byung-chul Han. Le riflessioni che fa Xun sono molto simili a quelle che ha affrontato il filosofo tedesco-coreano in molti dei suoi saggi. In Psicopolitica, per esempio, Han afferma che la condivisione di dati attraverso la rete è diventato un modo per esercitare il controllo e portare l’individuo non solo a esporsi eccessivamente, ma anche a essere più controllabile. La psicopolitica ha come effetto difatti di farci vivere la condivisione di dati non come un dovere, ma un potere e voler fare qualcosa, e questa libertà di movimento in rete ci rende, dunque, più controllabili. In Infocrazia, invece, Xun discute di come la democrazia sia stata soppiantata, appunto, dall’infocrazia, un nuovo tipo di controllo del potere che prevede che a prendere le decisioni non sono più una rappresentanza del popolo, ma la tecnologia sfruttata dai potenti di turno che, cavalcando l’onda del consenso o del dissenso riesce a controllare le masse:

La digitalizzazione del mondo della vita procede inarrestabile. Sottopone la nostra percezione, il nostro rapporto con il mondo, la nostra convivenza a un cambiamento radicale. Siamo storditi dall’ebbrezza della comunicazione e dell’informazione. Lo tsunami dell’informazione scatena forze distruttive. Esso travolge, nel frattempo, anche l’ambito politico e porta a pesanti distorsioni e rotture all’interno del processo democratico.

In queste parole di Han si riconosce, dunque, il pensiero di Xun e della sua Ipnocrazia, quasi fosse un’evoluzione della infocrazia: il potere gestito dai media è diventato un potere ipnotico che condanna al dormiveglia le masse incapaci di pensiero critico. Se prima con l’infocrazia resisteva ancora la dimensione del volere e del potere, con l’ipnocrazia questa dimensione sembra venire meno. «Ogni immagine, ogni parola, ogni frammento di dati», afferma Xun, «non è più neutrale; è un’arma sottile progettata per catturare, manipolare e trasformare la coscienza». Come scrive ancora Xun, i più grandi profeti dell’ipnocrazia sono Donald Trump e Elon Musk, che come il pifferaio di Hamelin «non mirano a convincere, ma a incantare». Si direbbe che i due mentono sapendo di mentire, e nel farlo riescono a essere convincenti e a dare sfogo alle pulsioni dei più: Trump è convinto della realtà altra che comunica ai suoi sostenitori, e con i suoi slogan riesce a tenere salda la rabbia e il sostegno dei suoi sostenitori riuscendolo addirittura a monetizzarlo, mentre Elon Musk, sebbene promuova progetti quasi irrealizzabili, con le sue promesse di utopie tecnologiche rasserena le masse promettendo un’umanità migliore che molto probabilmente non esisterà mai.

FILE PHOTO: U.S. President-elect Donald Trump and Elon Musk watch the launch of the sixth test flight of the SpaceX Starship rocket in Brownsville, Texas, U.S., November 19, 2024. Brandon Bell/Pool via REUTERS/File Photo

Come riescono di preciso Trump e Musk a incantare i loro sostenitori è semplice: sono abili a usare le nuove tecnologie, in particolare gli algoritmi e l’IA. Se da un lato l’algoritmo ci tiene incollati allo schermo attraverso lo scrolling continuo e incessante di informazioni che ci fanno vedere quanto desideriamo vedere, l’IA riesce, invece, a creare vere e proprie realtà alternative, veri sogni tecnologici talmente simili al reale da sembrare veri. I castelli di falsità creati dall’IA sono la caverna in cui i pifferai Trump e Musk rinchiudono i loro sostenitori, che come bambini li inseguono fino a restare chiusi in trappola. Questa trappola, però, è una sorta di labirinto da cui sembra difficile uscire, in quanto la realtà è stata frantumata in modo talmente forte che ogni suo frammento si frappone all’altro rendendo la realtà stessa cangiante, e quindi impossibile da criticare, in quanto viene meno allo stesso tempo il criterio dell’obiettività in assenza di un punto di riferimento fisso che possa decretare cosa sia giusto e cosa no:

Le piattaforme digitali non si limitano a distribuire contenuti: producono realtà multiple, spesso incompatibili ma ugualmente potenti. Il sistema non cerca coerenza: prospera, piuttosto, nella confusione. […] La realtà è stata atomizzata in frammenti che si sovrappongono, si contraddicono e infine si annullano a vicenda. Questo flusso infinito non lascia spazio alla critica, perché non c’è nulla di stabile da criticare. Ogni punto fisso si dissolve nel momento stesso in cui viene identificato.

Uscire, dunque, dal labirinto della realtà simulata e riprodotta pare impossibile, perché ogni volta si rinnova in forme diverse e sembra, quindi, non esserci modo di trovare una via d’uscita. Tuttavia, Xun svela comunque che, sebbene noi collaboriamo ad alimentare questa bolla di verità multiple che ci condannano alla trance, il continuo riscrivere il reale rende la realtà simulata stessa qualcosa di fragile e dunque penetrabile:

Il reale, infatti, non è più un’esperienza. È una costruzione fragile e costantemente riscritta. Ogni clic, ogni scroll, ogni gesto quotidiano non è un atto innocente: è, come detto, un’adesione silenziosa. Eppure è proprio in questa adesione che risiede la possibilità di comprensione.

Attraverso la tecnologia e i media, tutte queste verità frammentate e contraddittorie hanno subito un processo di mercificazione, ovvero sono sempre esposte agli occhi dei più e svuotate del loro vero significato. Per riacquistare significato di vera opposizione, oltre a vivere in questa dimensione di continua trance e oltre a sfruttare l’errore della simulazione per produrre realtà di dissenso Xun propone la realizzazione di quello che il collettivo Luther Blissett – ora conosciuto come Wu Ming – definisce “condividuo”, «un’identità collettiva che resisteva alla categorizzazione proprio attraverso la sua natura distribuita e mutevole». In sostanza, come la realtà è diventata gassosa così l’individualità deve essere collettiva e liquida, ovvero ci deve essere un certo sistema di valori condiviso che deve mutare come muta la realtà, e lo deve fare sfruttando le fragilità di quanto viene manipolato come nuove possibilità di creazione.

Si deve, dunque, operare un’«estetica della resistenza invisibile», creare cioè degli spazi nuovi, non tracciabili e non monetizzabili attraverso cui mantenere il proprio pensiero critico e la propria lucidità:

La resistenza invisibile non riguarda solo l’evitare la tracciabilità; significa coltivare modi di essere che non abbiano bisogno di venire definiti, classificati o misurati. L’Ipnocrazia è profondamente radicata nell’estetizzazione della vita quotidiana. Per resistere, bisogna evitare che la resistenza stessa venga trasformata in uno stile, in un’ennesima estetica che non si conforma ai canoni esistenti e che, quindi, non può essere assorbita e mercificata.

Uno dei concetti che tornano spesso in questo saggio è quello di sogno, qualcosa di imprevedibile, che difficilmente l’algoritmo può catturare, in quanto quest’ultimo coglie solo ciò che è già emerso ed è diventato puro stile. Xun, dunque, invita a far propria la riproducibilità e moltiplicazione di realtà, ma di farlo in maniera divergente, imprevedibile, attraverso ciò che viene considerato banale, senza inseguire idee che sono state estetizzate. In questo senso quanto sostiene il filosofo ricorda molto un dialogo avuto fra Ken Loach e Edouard Louis su arte e politica pubblicato in italiano da La nave di Teseo in cui il regista e lo scrittore, parlando di contrapposizione fra destra e sinistra, affermano che per la sinistra sia necessario creare un nuovo spazio di dissenso attraverso il silenzio, ovvero rifiutandosi di reagire alla violenza e alla menzogna della destra. Il silenzio in questo caso non è da intendersi come assenso silenzioso che alimenta la realtà gassosa attraverso cui i moderni pifferai ci manipolano, quanto un silenzio che sa creare spazi nuovi di idee e scontro che generano dibattito e pensiero critico. Quanto detto dai due si riscontra molto nel seguente passaggio del saggio di Xun:

La vera resistenza all’ipnocrazia non sta nell’opposizione frontale ma nell’arte di abitare i suoi punti ciechi, di coltivare forme di vita che il sistema non può né vedere né assorbire. Non si tratta di costruire un’alternativa totale ma di mantenere vivi spazi di possibilità, zone di autonomia temporanea dove qualcosa di diverso può ancora emergere.

Sommando il pensiero di Xun, Loach e Louis, si potrebbe dire che per scalfire l’ipnocrazia non bisogna inseguire le sue menzogne e alimentarle, ma osservarle, lasciarle vivere e riprodursi e, al minimo errore, sfruttare il glitch, l’errore, per produrre un nuovo spazio di dissenso in cui, sebbene ormai sia impossibile dire cosa sia effettivamente giusto o meno, almeno mantenere lo spirito critico che, alimentandosi di diverse alternative, permette comunque a chi lo esercita di mantenersi autonomo e indipendente nei confronti di chi esercita il potere.

Citando Pirandello in Così è (se vi pare), la verità alla fine è colei che la si crede. Questo pensiero diventa più attuale con le nuove tecnologie, che creano nuove realtà e fanno sì che le persone le ritengano più autentiche di altre. Mantenendoci sul parallelismo con Pirandello, con Ipnocrazia Xun ci invita a squarciare il cielo di carta, ovvero a fare breccia in questa riproducibilità di realtà comprendendo come, alla fine, gli strumenti che la fomentano siano creazioni umane, e di conseguenza come chiunque sia capace di riprodurre la realtà. Pertanto, più che copiare le realtà volute dai potenti, è necessario emulare i potenti nella creazione di realtà che si sottraggono al controllo – per dirla à la Byung-chul Han – psicopolitico, e che invece di svenderci al miglior offerente ci mantengano umani, ovvero critici, divergenti e indipendenti rispetto a un’omologazione del pensiero che ci condanna a una perenne fase di trance che ci rende schiavi di chi governa la nostra società.

Articolo di Alberto Paolo Palumbo

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