Uno degli aspetti maggiormente sottovalutati relativi al comportamento morale riguarda la sua migliorabilità: quello che potremmo chiamare il “biopotenziamento morale”. Sebbene non completamente consolidati, oggi disponiamo di alcuni metodi tramite i quali potenziare le nostre capacità morali, come l’altruismo e l’empatia; questi metodi non soltanto sono di natura psico-cognitiva, ma possono esserlo anche di tipo biomedico.
L’esigenza di un biopotenziamento morale
La prima domanda che sorge, riguarda le ragioni per migliorare le nostre abilità morali: perché dovremmo potenziare i nostri comportamenti?
Una buona risposta ci viene fornita da Ingmar Persson e Julian Savulescu, che nel loro testo Inadatti al futuro sostengono che noi esseri umani non riusciremo a rispondere adeguatamente alle problematiche del nostro tempo, come il cambiamento climatico, le diseguaglianze sociali, o i profondi conflitti tra gli Stati. Questa incapacità è dettata principalmente da alcuni bias cognitivi, come quello da “futuro prossimo”, secondo cui tendiamo a sentirci sollevati se un evento spiacevole o dannoso, invece di accedere in un futuro prossimo, viene posticipato a un futuro più lontano. Mostriamo anche alcuni bias negli atti di empatia, che variano a seconda del gruppo di appartenenza del soggetto con cui instauriamo una relazione.
Possiamo potenziare, pertanto, le nostre performance morali perché non siamo sufficientemente motivati a comportarci in modo adeguato affinché le sfide che ci attendono possano essere affrontate concretamente. Siamo coscienti dei problemi, ma non siamo sufficientemente motivati a risolverli.
La tecnica, da sola, non basta
Persson e Savulescu (2019) sostengono che lo sviluppo tecnologico può portare all’estinzione della specie umana: «L’attuale know-how tecnologico permette a piccoli gruppi, o addirittura a singoli individui, di uccidere milioni di noi»(p. 66). Un esempio sono le armi nucleari che, se collocate nelle prossimità di alcune megalopoli, possono costare la vita a milioni di persone, e l’allarme scatta quando si registra che «decine di paesi hanno riserve di uranio arricchito in scarsa sicurezza»(ibidem).
Se gli sviluppi tecnologici possono portare a conclusioni letali, allora la soluzione ai problemi del nostro tempo non è completamente tecnologica.
Problematiche come il cambiamento climatico sorgono nel momento in cui il dominio del campo d’azione, che si allarga grazie allo sviluppo del pensiero tecnico (lo sfruttamento irresponsabile delle risorse in primis), si trova alla periferia della nostra consapevolezza morale. Il pensiero tecnico non deve abbandonare il pensiero etico: se ragione e morale si separano, la prima divorerà la seconda, e con essa il futuro della specie umana.
Metodi farmacologici per il biopotenziamento morale
Passiamo ora a ciò che, concretamente, possiamo fare per migliorare la nostra consapevolezza morale. Secondo Jebari (2014) sono possibili tre tipologie di potenziamento morale: quello comportamentale, quello emotivo, e quello disposizionale. Il più problematico è sicuramente quello comportamentale, in quanto andrebbe ad alterare direttamente la condotta delle persone; quest’ultima, non sarebbe più il frutto di una ponderazione consapevole delle buone ragioni per agire, bensì quello di un intervento operato da un agente esterno (così, ad esempio, funzionano i nudge).
Si potrebbero potenziare le nostre disposizioni ad agire, come le capacità empatiche ed altruistiche, in quanto, sostengono Persson e Savulescu (2019), la semplice educazione su ciò che è moralmente buono non basta per il potenziamento morale. La conoscenza di un’informazione, infatti, non ci motiva adeguatamente ad agire in conformità ad essa: sappiamo benissimo che fumare nuoce alla salute, ma molti di noi continuano a fumare lo stesso.
Spesso, i nostri comportamenti sono dettati da alcuni bias che compongono quello che Kahneman (2013) definisce “sistema 1”, la nostra dimensione cognitiva più economica che ci induce a prendere le decisioni più semplici o comode. La soluzione più efficace è la biomedicina:
una delle linee di ricerca più promettenti riguarda l’ormone e neurotrasmettitore ossitocina. I livelli di ossitocina si innalzano naturalmente con il sesso e con la prossimità fisica, ma si possono innalzare anche con uno spray nasale. L’ossitocina agevola il parto e l’allattamento negli esseri umani e in altri mammiferi, ma interviene anche nelle cure materne, nei legami di coppia e in altri atteggiamenti pro-sociali, come la fiducia, la solidarietà e la generosità (Ivi, p. 141).
Alcuni studi, come quello condotto da Kosfeld et al (2005) hanno mostrato come l’ossitocina riesca a potenziare alcune disposizioni pro-sociali come la fiducia, sebbene de Dreu e i suoi colleghi (2011) abbiano mostrato che questi comportamenti si limitano a rivolgersi soltanto a persone appartenenti al proprio gruppo (soprattutto quello etnico).
Un altro metodo potrebbe essere quello di somministrare degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), ossia dei farmaci, come il citalopram, che solitamente vengono prescritti per soggetti con depressione o con disturbi d’ansia. Questi farmaci rallentano la ricaptazione della serotonina, il neurotrasmettitore dell’umore, aumentandone così la quantità e stimolando maggiormente i recettori. Alcuni studi, come quello di Tse e Bond (2002) hanno mostrato che l’assunzione di questa molecola può innalzare il senso di cooperazione che mostriamo nei confronti dei nostri simili.
Conclusioni
Possiamo quindi potenziare le nostre azioni morali con la medicina? In realtà, esistono delle «prospettive di biopotenziamento morale, anche se finora non è stato scoperto nessun mezzo biomedico di potenziamento morale con effetti sufficientemente precisi e forse non lo sarà mai» (Persson & Savulescu 2019, p. 144).
Sebbene possano migliorare le nostre disposizioni comportamentali, le tecniche di biopotenziamento morale sono le prime a sollevare una riflessione etica. Sono molte le questioni prettamente etico-teoriche che possono formularsi, come la discussione sul libero arbitrio o sul ragionamento morale, che possono venir meno attraverso queste procedure di potenziamento, senza contare quelle relative alla dimensione biopolitica implicata da questo insieme di pratiche. Ve n’è una, però, che è intrinsecamente pratica e chiama in causa questioni sociali ed economiche e riguarda l’allocazione delle risorse. È giusto impiegare alcuni farmaci per potenziare le capacità cognitive e morali di soggetti sani, riducendo così le quantità disponibili di farmaci che dovrebbero primariamente essere impiegati nella cura di pazienti non sani?
Morali o più morali, una cosa è certa. Uno studio approfondito della consapevolezza morale relativa al biopotenziamento non è più limitato alla sola riflessione filosofica, ma anzi approda una riflessione scientifica, sociologica ed economica, affinché esso possa essere la soluzione ai problemi del nostro tempo (e di quello che ineluttabilmente verrà).
Bibliografia
de Dreu, C. et al. (2011). Oxytocin promotes human ethnocentrism, PNAS, 108, pp. 1262-1266.
Galletti, M. (2022). La pillola per diventare buoni, Roma, Italia: Fandango.
Jebari, K. (2014). What to Enhance: Behaviour, Emotion or Disposition? Neuroethics, 7, 253-261. https://doi.org/10.1007/s12152-014-9204-5.
Kahneman, D. (2013). Pensieri lenti e veloci. Milano, Italia: Mondadori. (Originariamente pubblicato nel 2011).
Kosfeld, M. et al. (2005). Oxytocin increases trust in humans, Nature, 435, 2, pp. 673-676.
Persson, I. & Savulescu, J. (2019). Inadatti al futuro. L’esigenza di un potenziamento morale.