La gran parte degli studiosi di filosofia che difende ancora oggi la centralità della dimensione storica del pensiero per la ricerca e l’elaborazione moderna afferma che la storia non ci è data come ripostiglio museale di visioni passate ma come sostanza fertile da cui può germogliare la novità. In questo senso, gli storicisti di oggi – cui l’autore di questo articolo si ascrive senza riserve – sono soliti citare la seconda inattuale niezscheana per affermare che la Storia deve essere vivificata.
Nondimeno, gli stessi sostenitori di questa posizione sono spesso attanagliati dal dubbio (e anche da un certo imbarazzo) quando si tratta di indicare perchè un pensare storico debba essere ritenuto superiore rispetto ad uno che proceda á la Descartes, ovvero abbandonando ciò che è già stato pensato in favore di una formulazione “originaria”.
Per tentare di trarsi al di fuori di questa infelice situazione tanto sociale quanto puramente soggettiva in cui si fatica a dimostrare il valore di ciò che si crede è possibile andare alla ricerca di alcune strategie argomentative. Un aiuto particolarmente prezioso sembra derivare da un volume di Theodor Wiesengrund Adorno che erroneamente passa nella lista degli scritti “minori.
Il testo si compone dell’insieme delle lezioni tenute fra il ’62 e il ’63 nell’ambito del corso “introduzione alla terminologia filosofica“. Philosophische Terminologie (ed. it. Terminologia filosofica, a cura di S. Petrucciani, Einaudi, Torino 2007) è precisamente il titolo che la trascrizione delle lezioni adorniane porta. Al di là del contenuto strettamente scolastico e didattico, ciò che suscita interesse è la convinzione di fondo di Adorno: ciò a cui lo studente novizio deve essere introdotto non è la galleria di nomi e visioni del mondo dei filosofi ma l’insieme dei termini che il pensiero adopera.
Storia della terminologia e storia della filosofia
La principale ragione che spinge a svolgere un corso introduttivo secondo il criterio della terminologia è enunciata chiaramente da Adorno:
Sarebbe molto allettante provare a scrivere la storia della filosofia non tanto come una storia di tesi, di idee o di sistemi, quanto come storia della terminologia, poiché in questa storia si esprime, si deposita ciò che in un certo senso è più importante delle dottrine dei singoli filosofi: si deposita l’interesse, quello che è il nucleo essenziale delle singole filosofie, quello che veramente importa. (p. 32)
Secondo Adorno la filosofia, nei suoi momenti critici compie la sua operazione più radicalmente significativa sul piano della terminologia. Ciò emerge con massima evidenza nella rivoluzione filosofica che avviene con l’avvento della modernità, che Adorno riguarda hegelianamente come il momento radicalmente significativo per comprendere la vita contemporanea. Nel XVII secolo Cartesio e Spinoza sono dei veri e propri rivoluzionari che sovvertono i capisaldi della filosofia scolastica, ma affinché la loro opposizione a secoli di pensiero sia efficace essa deve preparare la sua rottura sul terreno di quella stessa Scolastica. Così, nel momento in cui dotano di nuovi significati il concetto di “sostanza”, Cartesio e Spinoza stanno da un lato generando una frattura nella storia del pensiero e, al contempo, inserendosi nel solco del dibattito propriamente scolastico fra nominalisti e realisti dalla parte di quest’ultimi.
Da ciò non bisogna derivare la conclusione secondo cui, dal momento che secoli di storia della filosofia popolati di fratture e distanza inconciliabili sono organizzati intorno ad un vocabolario pressapoco continuo, allora fra i pensatori vi sia una sorta di continuità indissolubile di scopi e atteggiamenti. Piuttosto, l’intento di Adorno è quello di far emergere le dinamiche essenzialmente dialettiche all’interno della storia del pensiero. Il tema diviene, dunque, quello del rapporto fra identità e non-identità all’interno dei millenni di storia della filosofia.
Adorno esemplifica chiaramente il punto attraverso un riferimento all’origine greca della filosofia:
Anche se il contenuto del nostro pensiero è anti-greco, il nostro pensiero è tuttavia determinato dalla filosofia greca, in quanto non può affatto sottrarsi al contatto – sia pure antitetico o dialettico – con quei concetti. (p. 55)
Adoperando un vocabolo proveniente dal lessico della filosofia greca – ad esempio il termine “idea” a cui Adorno dedica le ultime quattro lezioni del corso (pp. 474-514) -, il filosofo si iscrive in una intera filiazione. Consegue da ciò la tesi più forte del testo adorniano: è la storia della terminologia adoperata a costituire la storia della filosofia. Nessuna continuità spirituale o atteggiamento idealisticamente condiviso (come ancora sostenevano, pochi anni prima di Adorno, pensatori come Edmund Husserl e Martin Heidegger) si costituisce come riferimento comune di epoche disparate nella storia della filosofia, ma unicamente l’elemento materiale del vocabolario.
La continuità della tradizione è garantita da una ragione meramente tecnica: «la forma espositiva non è esteriore alla filosofia come lo è alle scienze positive, ma l’esposizione, e cioè il linguaggio, è invece un suo momento centrale» (p. 57). Pertanto, distinguendosi dalle scienze positive, naturali ed obiettive la filosofia scarta necessariamente la possibilità di spazzare via il lascito del passato in favore di una tabula rasa su cui riedificare la struttura concettuale del pensiero; afferma limpidamente Adorno:
Quando si cerca di eliminare la terminologia – che la si sostituisca con un linguaggio di puri segni o con neologismi, e cioè con nuove formazioni pure e più o meno arbitrarie, come è accaduto sempre di nuovo nella storia del pensiero -, si rinnega appunto la connessione del pensiero con la continuità storica. Ciò determina a priori la comparsa, nelle idee, di un certo impoverimento, che non torna a loro vantaggio. Il modo assai più fecondo in cui un pensiero originale può comunicarsi linguisticamente consiste nel collegarsi bensì, da un lato, alla terminologia tradizionale, creando però in essa, d’altro lato, nuove costellazioni, in cui i termini di volta in volta usati assumono una figura e una posizione completamente diverse. (p. 39)
Nient’altro che questa terminologia: la filosofia come autoriflessione
Tuttavia, se la distanza fra la riflessione filosofica e la ricerca scientifica impedisce la possibilità di un linguaggio puramente oggettivizzato e astratto; un linguaggio unicamente soggettivo è parimenti estraneo alla filosofia. Infatti, essa non deve essere identificata – ad avviso di Adorno – neanche come una forma d’arte, ovvero di espressione immediata del contenuto di un pensiero. Irriducibile a pura oggettività e a pura soggettività immediata, la filosofia si costituisce come intenzione e, soprattutto, distanza dialettica fra i due poli.
Ciò di cui la filosofia dispone è, allora, la sua storia. Questa non è da intendersi come galleria di illustri e autorità insindacabili ma, piuttosto, come precipitato dell’insieme di mezzi linguistici adoperati. Si giunge, così, a quella che per Adorno è l’abilità fondamentale di chi pensa filosoficamente: la capacità di autoriflessione.
Richiamando la celebre formulazione di Aristotele, che aveva definito la filosofia “nóēsis noēseōs” (“pensiero di pensiero”), Adorno indica precisamente la centralità della autoriflessione:
[La filosofia] è necessariamente autoriflessione del pensiero, o almeno contiene tale autoriflessione, in questo caso potete chiaramente capire come il linguaggio vi svolga una funzione fondamentale. L’elemento in cui si realizza il pensiero filosofico, come ogni altra forma di pensiero, è appunto il linguaggio, e se la filosofia è un pensiero che riflette su se stesso, deve necessariamente riflettere sul proprio elemento e strumento, sul linguaggio. Del resto oggi questo peso del linguaggio nella filosofia aumenta, e voi potete considerare questo fenomeno come sintomatico di un mondo in cui il linguaggio in genere è diventato problematico. (p. 210)
Riflettendo su se stessa la filosofia non si distanzia dal mondo concreto e dalla storia ma, piuttosto, vi si avvicina. Questo punto viene sottolineato con particolare enfasi da Adorno (che alla critica sociale ha consacrato gran parte della sua produzione) nelle numerose connessioni che, nell’arco del corso, l’autore indica fra i cambiamenti del pensiero e l’evolversi della situazione sociale1. Nella misura in cui essa si costituisce a partire da uno scambio dialettico fra soggettivo ed oggettivo, la filosofia traduce differenti contesti storici e condizioni sociali: «in questo senso la filosofia è sempre una sorta di processo razionale di revisione e correzione della razionalità, ed è perciò che concetti come quelli di razionalismo e irrazionalismo e tutta la polemica sul razionalismo dànno un’idea in un certo senso cosi errata di quello che è veramente la filosofia» (p. 82).
Introdurre alla terminologia filosofica significa, così, introdurre alla filosofia tout court. Nel momento in cui incominciamo a riflettere a partire da una data posizione storica e sociale accediamo alla totalità della storia della filosofia -e, dunque, all’integralità del pensiero- nel momento in cui adoperiamo un determinato vocabolario. Infatti, dietro un termine filosofico (ad esempio la parola “essenza”) stanno un’innumerevole quantità di problemi pronti a ritornare vivi e reali nel momento presente, a cui la storia della filosofia li ha tramandati «in una forma più o meno morta o nascosta» (p. 214).
A rimanere identici e costanti sono i termini e, aggiunge Adorno, i problemi che essi implicano. A modificarsi sono i significati e, di conseguenza, le strategie che differenti epoche adottano per risolverli. L’attività di filosofare diviene, dunque, un’operazione che «turba l’immediatezza della vita» (p. 30), un compitto che si prefigge di andare andare ai ferri corti con una realtà preesistente per ricercarne indicarne le tensioni interne.
Se volete riuscire a stabilire un rapporto positivo e amichevole con la terminologia filosofica, dovete rendervi chiaramente conto, fin dall’inizio, del fatto che i termini filosofici non sono segni che sono stati adottati più o meno arbitrariamente, più o meno astoricamente per indicare certe cose, e che sono usati perché è conveniente farlo, oppure vengono ripudiati sempre per ragioni di opportunità, e cioè quando non assolvono più alla loro funzione. I termini filosofici sono, propriamente, dei punti nodali della storia del pensiero che si sono conservati e intorno a cui poi ruota – per cosi dire – la storia della filosofia. Oppure – se mi consentite la formulazione: ogni termine filosofico è la cicatrice di un problema irrisolto. (p. 213).
1 Non è possibile entrare dettagliatamente nella questione, è sufficiente sottolineare come Adorno indichi i collegamenti fra la filosofia di Aristotele, il suo recupero scolastico e il sistema feudale; fra il razionalismo moderno e l’avvento della borghesia come classe dominante e, infine, fra la filosofia di Heidegger e il nazionalsocialismo.