Nuove forme di schiavitù: Byung-Chul Han e il regime dell’informazione

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Una delle esperienze cardine del tempo libero, per lo meno in questa parte del mondo, è scrollare. Lo facciamo tutti, consapevoli o meno di star mettendo in pausa il cervello, ci lasciamo trasportare dal flusso inesauribile delle notizie. 

È evidente che qualcosa sia accaduto e stia accadendo mentre stiamo con il telefono in mano. Proviamo a capirci qualcosa di più con l’aiuto del filosofo Byung-Chul Han che, nel saggio Infocrazia (Einaudi, 2023), tenta di comprendere i meccanismi digitali di manipolazione cui siamo sottoposti quotidianamente. 

La tesi di partenza di Byung-Chul Han è che le forme di potere e controllo abbiano subito, grazie all’avvento dell’era digitale, una epocale trasformazione. In Sorvegliare e punire, relativamente alla modalità in cui si esercita il dominio, Foucault parla di regime disciplinare. Il bersaglio del regime disciplinare è il biopolitico, vale a dire il corpo: per controllare un essere umano devo disporre a mio piacimento del suo corpo, per indebolirlo e sottometterlo al mio volere occorre isolarlo, diminuirne il potere d’azione – questo è secondo il filosofo francese anche il principio posto a fondamento dell’istituzione delle carceri. Dal punto di vista di chi subisce questa forma di dominio, naturalmente, c’è opposizione, resistenza e la limitazione della libertà è percepita secondo la categoria della schiavitù.

Ma a questo meccanismo di controllo se ne aggiunge un secondo definito da Han “regime dell’informazione”. Con regime dell’informazione si intende «la forma di dominio nella quale l’informazione e la sua diffusione determinano in maniera decisiva, attraverso algoritmi e intelligenza artificiale, i processi sociali, economici e politici» (Han, Infocrazia, p.3). Contrariamente al regime disciplinare, qui il bersaglio è la mente e la tecnica di dominio non si precisa in un meccanismo di isolamento ma di connessione, di creazione di una rete online globale. Il dominio di questa tipologia di regime risulta poi tanto più perfetto dal momento che chi lo subisce lo esperisce come tempo libero, vale a dire come libertà.

Il dominio del regime dell’informazione «si occulta dietro la cortesia dei social media, dietro la comodità dei motori di ricerca, dietro le voci cantilenanti degli assistenti vocali e la premurosa utilità delle app intelligenti.» (Han, Infocrazia, p.9). Cadiamo tra le braccia di questi gentili tecniche di manipolazione in quanto vittime di meccanismi di profilazione ad hoc noti come micro-targeting. Il funzionamento è noto: più tempo interagisco con un social o con un motore di ricerca che sfrutta tecnologia AI, più informazioni su di me immetto nel sistema, più si affina l’algoritmo. Risulta allora evidente come il dominio sia in capo a chi possiede queste informazioni, utili per vendermi o farmi votare un po’ quello che voglio, dato che mi conosce meglio di chiunque.

Il punto maggiormente critico del regime dell’informazione è infatti la trasformazione dello spazio pubblico della politica per due ordini di ragioni. Il primo è che l’apparente iper-connessione genera in realtà sciami di individui isolati: viene meno lo spazio del dibattito in favore dello scambio di interazioni digitali (likes, commenti etc.). Il secondo è che le informazioni estremamente personalizzate, create in spazi privati e inviate in altri spazi privati (i nostri telefoni), non passano al vaglio dello spazio pubblico

Hannah Arendt si esprime molto chiaramente su questo punto dicendo che la democrazia ha bisogno dell’altro, pretende l’incontro come momento fondativo del dialogo: senza l’altro, quindi senza pluralità, l’ascolto, senza gioco dialettico tra la mia e la tua posizione, l’opinione diventa autistica, dottrinaria, dogmatica. Il solipsismo delle opinioni è la forma di dibattito dei social, in cui individui a cui è stato dato in pasto solo ciò che volevano vedere, si radicalizzano sulle proprie posizioni. L’intesa allora risulta impossibile perché l’opinione non è discorsiva, ma sacra, in quanto coincide pienamente con l’identità del soggetto da cui è espressa. Nel meccanismo paradossale in cui coesistono iper-connessione e radicale isolamento, la democrazia rischia il soffocamento.

Davanti alla moltiplicazione smisurata delle opinioni e delle pseudo-verità, a subire un duro colpo è il concetto stesso di verità – di cui l’informazione sembra rappresentare l’antitesi ben più della menzogna. A tal proposito Han parla dell’avvento di un nuovo nichilismoNietzsche denunciava il fatto che la verità altro non fosse che una necessaria convenzione, utile al mantenimento di un ordine sociale: dato che per far sì che tutti si sottomettano alla legge occorre che tutti ci credano, allora sarà meglio far credere questa legge vera (e giusta). 

Il nuovo nichilismo si disinteressa di smascherare questa millenaria bugia che chiamiamo verità e mina alla radice la distinzione stessa tra vero e falso. Le fake news, infatti, non hanno statuto di falsità, non sono menzogne: attaccano la natura stessa della verità e della realtà in quanto indifferenti ai fatti. Se all’informazione manca la stabilità del fatto, cioè mancano la coerenza e la continuità, allora ciò che viene detto non ha il tempo di essere dimostrato o smentito. Resta sospeso nella matassa indistricabile di dati che quotidianamente produciamo. Senza spazio per il ragionamento, l’altro e il vero, la democrazia è privata delle sue condizioni di possibilità.

Lorenzo De Benedictis

24 anni, da Siracusa. Da ingegnere fallito a studioso di filosofia incallito il passo è breve. L'unica cosa certa è che invecchierò pescando in un'isola greca sperduta

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