L’avvento dell’intelligenza artificiale rappresenta indubbiamente una delle più grandi sfide del nostro tempo. Dall’imponente questione della salute delle democrazie fino alla trasformazione del lavoro, non esiste ambito che non entri più o meno direttamente in rotta di collisione con il mondo dell’AI. In questo quadro, perfino la letteratura, le arti e la cultura tout court necessitano un ripensamento radicale del proprio ruolo. Già alla fine degli anni ’50, anche Italo Calvino rifletteva su questi temi, congetturando soluzioni e avanzando ipotesi su cui oggi è quanto mai opportuno soffermarsi.
Le macchine intelligenti e il mestiere di scrivere
Nel saggio Cibernetica e fantasmi (1967), pubblicato all’indomani di un lungo ciclo di conferenze in Italia e in Europa promosso dall’Associazione Culturale Italiana, Calvino riflette sul ruolo della letteratura nell’era delle nascenti macchine intelligenti e si domanda se un giorno
«avremo la macchina capace di sostituire il poeta e lo scrittore? Così come abbiamo già macchine che leggono, macchine che eseguono un’analisi linguistica dei testi letterari, macchine che traducono, macchine che riassumono, così avremo macchine capaci di ideare e comporre poesie e romanzi? Quello che interessa non è tanto se questo problema sia risolvibile in pratica – perché poi non varrebbe la pena di costruire una macchina così complicata, – quanto la sua realizzabilità teorica, che ci può aprire una serie di congetture insolite.»1
Se distanza di appena cinquantasette anni la questione della realizzabilità pratica non può che farci sorridere, a ben vedere, ci troviamo ancora al punto di partenza relativamente allo sviluppo di quella serie di “insolite congetture”. Ma prima di raccogliere la sfida lanciata da Calvino, si faccia un rapido zoom out al fine di inquadrare al meglio la materia in oggetto e ci si domandi: a che tipo di società ci consegna l’esistenza e l’utilizzo quotidiano di tecnologie come Google e ChatGPT?
Società delle risposte e del disancoramento informazione-fonte
Si potrebbe affermare – in accordo con Andrea Principe e Massimo Sideri, co-autori de, Il visconte cibernetico (2023) – che quella odierna sia la società della risposta e del disancoramento fonte-informazione. Con questa espressione si fa riferimento in prima istanza alla impressionante mole di risposte sempre disponibili che i motori di ricerca, così come le tecnologie AI ci forniscono: mai come in questo momento gli esseri umani hanno accesso ad una simile quantità di informazioni con un così minimo sforzo. L’intero processo conoscitivo di fatto sembra essere ridotto ad un meccanismo di input (domanda)-output (risposta) in cui, noi digitiamo qualche carattere sulla tastiera, e una frazione di secondi dopo alcuni milioni di risultati appaiono sullo schermo già pronti all’uso.
Ma una tale produzione di risposte, mista alla velocità con cui vengono consumate, non può che scontare un vizio solo apparentemente innocente, vale a dire lo scollamento dell’informazione dal suo stesso autore. Allora se una notizia vale unicamente per sé, e non anche per chi la dice, viene meno il concetto stesso di attendibilità, di fonte, ed è possibile aprire bocca su quel che si vuole, quando si vuole, come si vuole. È evidente, d’altronde, che il cancro delle fake news non possa che esser scaturito da principio proprio da questo disancoramento.
Che farne della creatività?
Date queste premesse, in una società siffatta, quale spazio rimane al domandare, al creare critico e autentico? Nella polarità macchine-esseri umani, come sopra osservato, resta si compito dei secondi la pratica dell’interrogare, ma qual è la natura di questo esercizio di pensiero? Come ognuno di noi ben sa, utilizzando Google e ChatGPT, non si fa alcuna esperienza di un domandare libero: esistono codici, semplificazioni linguistiche (quindi, di pensiero), tag, categorie, parole-chiave e schemi che delimitano lo spazio della ricerca. Ad esserne immediatamente condizionata è la nostra capacità di immaginare, di inventare mondi che si discostano dalle opzioni che ci vengono presentate.
La letteratura aritmetica
Ma quella che a molti, ieri come oggi, appare come la crisi per eccellenza del pensiero critico, così come della creatività, viene riletta da Calvino come orizzonte per la nascita di nuovi strumenti narrativi. In altre parole, nell’ipotesi di concepire lo scrittore come un combinatore di parole (cioè, di un computer) che si muove all’interno di opzioni limitate, si tratta di porre la seguente questione: la finitezza delle forme del domandare, dell’immaginare – finitezza di cui la tecnologia ci ha improvvisamente reso edotti mettendo sullo stesso piano combinazione di lettere e combinazioni numeriche – è un limite di per sé alla creatività?
«La fantasia popolare non è sconfinata come un oceano, ma non bisogna per questo immaginarla come un serbatoio d’una capacità determinata: a pari livello di civiltà, così come le operazioni aritmetiche, anche le operazioni narrative non possono essere molto diverse presso un popolo o un altro: ma quello che sulla base di questi procedimenti elementari viene costruito può presentare combinazioni, permutazioni e trasformazioni illimitate. Questo è vero soltanto per le tradizioni narrative orali oppure può essere sostenuto per la letteratura nella sua estrema varietà di forme e complessità?»2
Il modello combinatorio tra Calvino e Queneau
Contro ogni visione romantica dello scrittore e della presunta ispirazione divina che lo accompagna, Calvino sostiene l’idea di letteratura come «un’ostinata serie di tentativi di far stare una parola dietro l’altra seguendo certe regole definite, o più spesso regole non definite né definibili ma estrapolabili da una serie di esempi o protocolli, o regole che ci siamo inventate per l’occasione»3. L’idea di un bizzarro matrimonio tra letteratura e aritmetica stava di fatti conoscendo in quegli anni un’insolita fortuna; tra i maggiori sostenitori spicca senz’altro il modello di poesia combinatoria ideato per la stesura di Cent mille milliards de poèmes (1961) da Raymond Queneau, un vero e proprio libretto interattivo a bande mobili in modo tale da poter comporre fino a centomila miliardi di sonetti regolari – «una lettura lunga quasi duecento milioni di anni (leggendo ventiquattro ore su ventiquattro)!»4
Sull’esperienza del labirinto
Al di là della qualità finale del prodotto artistico, ciò su cui è necessario soffermarsi è l’atteggiamento intellettuale che Calvino, come Queneau, cercano di portare avanti. La ricerca di nuovi strumenti narrativi capaci di afferrare il funzionamento delle macchine intelligenti risponde ad un’esigenza ben precisa dato che il gioco combinatorio «può funzionare come sfida a comprendere il mondo o come dissuasione dal comprenderlo»5. Non è da considerarsi casuale se nelle pagine finali di Cibernetica e fantasmi, sulla scia di Enzensberger, Calvino ripropone l’immagine del mondo e della società come labirinto, un mondo in cui il bisogno di trovare un appiglio, di orientarsi, diventa esercizio di sopravvivenza.
Ogni orientamento – egli scrive [Enzensberger] – presuppone disorientamento. Solo chi ha sperimentato lo smarrimento può liberarsene. Però questi giochi di orientamento sono a loro volta giochi di disorientamento. In ciò sta il loro fascino e il loro rischio. Il labirinto è fatto perché chi vi entra si perda ed erri. Ma il labirinto costituisce pure una sfida al visitatore perché ne ricostruisca il piano e ne dissolva il potere. Se egli ci riesce, avrà distrutto il labirinto; non esiste labirinto per chi lo ha attraversato.6
Lettore o Teseo contemporaneo
Allora si comprende la funzione della letteratura nel pensiero di Calvino, una letteratura in cui (altro elemento di straordinaria attualità), la funzione del lettore, del decifratore di questo labirinto, come un Teseo contemporaneo, assume un ruolo di importanza capitale. Nell’era della cultura delle risposte e delle fake news l’esercizio di orientamento diventa una pratica di sopravvivenza quotidiana che non può che ricadere sulle spalle del singolo. L’obsolescenza dei governi nell’attuare misure adeguare a tutelare dai rischi dell’AI (come, per dirne una, nel caso delle prossime elezioni negli USA) unite alla crisi del sistema mediatico nel suo complesso, rendono la lezione di Calvino estremamente attuale: tocca al buon lettore fuggire il minotauro e districare i bandoli di questo labirinto contemporaneo.
- I. Calvino, Cibernetica e fantasmi, in Una pietra sopra, Mondadori, 1995. ↩︎
- Ibidem. ↩︎
- Ibidem. ↩︎
- R. Queneau, Cent mille milliards de poèmes, Gallimard, 1961. ↩︎
- I. Calvino, Cibernetica e fantasmi. ↩︎
- H. M. Enzensberger, Strutture topologiche nella letteratura moderna, in Sur Rivista, Buenos Aires, n. 300, maggio-giugno 1966. ↩︎