Antropocene e decrescita: breve introduzione a Kohei Saito

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Kohei Saito, filosofo e studioso di economia politica giapponese ha approfondito la tematica ecologica in Marx, cercando di mostrarne il carattere non solo centrale, ma finanche essenziale. La tesi di Saito, che si pone (in un primo momento) in continuità con la scuola della frattura metabolica di John Bellamy Foster, è che l’ecologia abbia avuto un ruolo «sistematico»[1] all’interno della critica marxiana dell’economia politica. Come scrive Saito: «Non è possibile comprendere tutta la portata della sua critica dell’economia politica se si ignora la dimensione ecologica»[2]. Secondo Saito, il Capitale è una teoria del metabolismo: esiste una tensione, intrinseca al lavoro astratto, tra produzione di merci capitalistica e rapporto sostenibile con la natura.

Se L’ecosocialismo di Karl Marx presenta un’accurata indagine storiografica e filologica della tematica ecologica in Marx, il tema dell’Antropocene è sviluppato da Saito nei suoi lavori successivi, segnando tuttavia un punto di discontinuità con la concezione fosteriana del metabolismo. Anche in Saito, difatti, tale crisi è il prodotto di una contraddizione tra i due “momenti” che determinano la produzione: «the connections with nature» e le caratteristiche della «social structure» che emerge da tale connessione, vale a dire la modalità di organizzare il metabolismo uomo-natura: «Capital’s organization of social metabolism, with its second-order mediations, is incompatible with transhistorical material characteristics of metabolism between humans and nature»[3]. In questo doppio movimento, di “connessione” con la natura e la sua particolare “organizzazione”, si trova la peculiarità del concetto marxiano di metabolismo, giocata sulla contraddizione capitalistica tra Stoff, la base materiale-naturale, e Form, appunto la forma che prende tale organizzazione. In Saito, l’Antropocene costituisce il «punto d’arrivo» della «crisi metabolica»[4] innescata dal capitalismo, che si traduce in una «metabolic rift» articolata secondo tre dimensioni: materiale, spaziale e temporale[5]. Dal punto di vista più fondamentale, quello materiale, la frattura metabolica consiste nella distruzione dei processi di scambio di materia ed energia che caratterizzano il metabolismo naturale. Non rispettando ciò che Liebig chiamava la “legge del riciclo” (Gesetz des Ersatzes), la produzione entra in conflitto con i cicli di recupero naturali che definiscono, ad esempio, il ripristino dei suoli dopo il loro utilizzo agricolo. Questa frattura si riverbera ed è a sua volta rafforzata dalla direttrice spaziale (divisione tra città e campagna; accumulo di rifiuti in città) e da quella temporale, che emerge come contraddizione tra il tempo dei ritmi naturali e il tempo della valorizzazione capitalistica[6].  Queste tre dimensioni sono, scrive Saito, “intrecciate[7], e si rinforzano a vicenda, mettendo costantemente in crisi il processo di accumulazione. Tale dinamica genere a sua volta tre “traslazioni” (shift) sul piano degli effetti materiali, volte a traslare, appunto – mediante l’appropriazione di natura, la proiezione del divario tra città e campagna sulla sfera globale, e infine l’implementazione tecnologica: – le frontiere dell’accumulazione quando le condizioni materiali e spazio-temporali si ritrovano erose o insufficienti: «Metabolic shift” is a typical reaction of capital to the economic and ecological crisis it causes»[8].

È su questo punto che la prospettiva teorica si intreccia all’ipotesi di rilettura storiografica: secondo Saito, infatti, è solo dopo la scrittura del primo volume del Capitale che Marx avrebbe sviluppato la sua critica al capitalismo abbandonando i residui di “produttivismo” ancora presenti nei Grundrisse per abbozzare l’idea di un “comunismo della decrescita”. Il vero nucleo della critica del Marx di Saito è quindi il concetto di «forze di produzione capitalistiche»[9], e, con esso, la visione progressiva della storia e dello sviluppo economico implicate dal processo di valorizzazione del valore. La distruzione dell’ambiente naturale è anzitutto l’effetto della spinta alla crescita, connaturata alla valorizzazione capitalistica. Come vorremo ora mostrare, tale rilettura di Marx è costruita su tre assi: un’ontologia dualista; lo sviluppo del concetto di “forze produttive capitalistiche” in chiave ecologica; l’eliminazione del teleologismo e del produttivismo presenti nella concezione marxiana del comunismo.

Per quanto riguarda il primo punto, Saito riprende le critiche di Bellamy Foster e Malm al monismo di Moore, sostenendo come natura e società non vadano solo tenute distinte sul piano analitico, ma anche su quello ontologico. La natura, scrive Saito rifacendosi ad Adorno, è anzitutto il “non-identico”, ciò che non si lascia ridurre al concetto: «Matter signifies non-identity with concepts, and this non-identity signifies that nature is more than human»[10]. Tale prospettiva è in linea con la concezione marxiana della natura, secondo la quale, da un lato, essa non è costruita dal lavoro, e, dall’altro, il lavoro umano è sempre mediazione di una base naturale, ed è quindi parte della natura stessa: «The basic insight of Marx’s theory of metabolism is […] that humans always produce as a part of nature and that their activities are entangled with extra-human nature more and more in the course of capitalist development»[11]. Il materialismo marxiano si basa quindi su un’accezione realista della natura, pensata come altra rispetto all’essere umano: «The objective existence of nature independently of humans characterizes the basic insight of materialism»[12]. Ora, se in questo contesto, le critiche mosse da Saito a Moore non si allontanano da quelle indirizzategli da Bellamy Foster e Malm, l’accezione realista di natura portata avanti da Saito si traduce nella riattualizzazione del concetto di limite. Secondo Saito, difatti, la tesi per cui cui «the recognition of objective natural limits» corrisponderebbe ad una prospettiva di stampo maltusiano[13] significa confondere l’elasticità che caratterizza il processo di sussunzione capitalistico[14] con l’inesistenza di limiti assoluti ad esso. Anche in questo caso, la critica è rivolta a Moore[15]. Saito non nega che il capitale sia capace di rideterminare le frontiere naturali-materiali dell’accumulazione; si oppone però all’idea che tali frontiere siano infinitamente rideterminabili. Questo sarebbe l’esito delle prospettive moniste che, come nel caso di Moore, fanno del limite naturale un prodotto dell’”esternalizzazione internalizzata” del capitale, vale a dire la necessità di porre frontiere di natura a buon mercato per poi appropriarsene. Scrive Saito:

the elasticity of capital inevitably has objective limits. Once these natural limits are surpassed, elasticity is lost entirely all of a sudden, just like an overstretched spring, so it no longer delivers capital’s desidered results. This dependence on natural elasticity then turns out to be problematic for the accumulation of capital. […] No matter how hard capital attempts do discover new frontiers of nature and new markets, there is no infinite space on the earth after all. Technological progress can push limits back to some extent, but entropy increases, available energy decreases and natural resources get exhausted[16].

Questa visione realista della natura e del limite, confermata dalle scienze del sistema Terra[17], sarebbe stata elaborata da Marx stesso, in particolare nello sviluppo del concetto di “modo di produzione capitalistico”. Su questo punto, il piano teorico incrocia quello storiografico[18]. La tesi di Saito, infatti, è che il pensiero di Marx sia suddivisibile in tre fasi, che coincidono, approssimativamente, 1) con la redazione del Manifesto del partito comunista; 2) con l’elaborazione dei Grundrisse e del primo volume del Capitale; 3) con l’approfondimento degli studi dedicati ai modi di produzione pre (o post) capitalisti e all’ecologia (chimica, geologia, scienze naturali in generale)[19]. Secondo Saito negli anni dei Grundrisse permangono ancora in Marx residui di produttivismo e teleologismo che impediscono alla critica ecologica del capitale di dispiegarsi pienamente. In particolare, ciò che Marx manca ancora di tematizzare a cavallo tra il decennio del 1850 e quello successivo, è la componente materiale del modo di produzione: qui, risiede il nucleo ecologico e radicale della critica marxiana.

Senza entrare nel merito delle questioni più propriamente storiografiche[20], Saito sostiene che la fiducia riposta da Marx nello sviluppo della tecnologia e delle macchine come strada per l’uscita dal capitalismo venga meno a seguito dell’articolazione del rapporto fra “sussunzione reale” e, appunto, “modo di produzione capitalistico”. La distinzione tra sussunzione formale e sussunzione reale descrive le fasi attraverso cui il capitale integra e organizza (“sussume”) il processo lavorativo e le tecnologie in esso coinvolte: mentre la sussunzione “formale” denota la forma della determinazione economica del processo lavorativo come forma-valore, la sussunzione reale modifica interamente sia le forze di produzione sia i rapporti di produzione[21]. Le forze e i rapporti di produzione di cui il capitale si appropria (sussunzione formale) divengono forze e rapporti che il capitale organizza, dando una forma nuova alla materia sociale e tecnica che lo compone. Il salto dall’uno all’altro non è solo quantitativo, ma soprattutto qualitativo: il capitale, riorganizzando il processo lavorativo, crea nuove forze di produzione che perciò vengono “innestate” (embedded) nel modo di produzione, come una vera e propria «ossatura oggettiva»[22]. Scrive Saito:

«the formal subsumption of labour under capital does not affect the character of the actual labour process but simply takes what it “finds” avaiable as it is and introduces new relations of production. […]. [The real subsumption] creates qualitatively new productive forces and a uniquely capitalist way of production sui generis»[23].

Ora, ciò che Saito intende sottolineare è che in questo processo di progressiva integrazione, diviene impossibile separare il lato, appunto, materiale da quello formale del rapporto, diviene impossibile cioè disgiungere le forze di produzione dai rapporti di produzione. Al contrario: il “modo di produzione”, quale unitàdi materia e forma, sussume sia le determinanti materiali che quelle sociali, e la sua definizione dispiegata, coerente con il dualismo metodologico marxiano, deve basarsi sull’articolazione necessaria di questi due fattori: «On the one hand, the social aspects express its [del modo di produzione]formal economic side, which is determined by “relations of production” […]. On the other hand, the “relations of production” […] contain material aspects as a way of organizing the metabolism between humans and nature». Secondo Saito, dunque, il lato materiale implicato dalle forze di produzione, peculiare alla produzione capitalistica, sarebbe stato investigato approfonditamente da Marx solo in una fase successiva rispetto alla redazione del primo volume del Capitale[24]. Su questo punto Saito è esplicito: si tratta di una vera e propria “rottura epistemologica” [25] nel pensiero di Marx che prelude, come vedremo, all’elaborazione del comunismo della decrescita. Tale prospettiva, attenta alla componente materiale delle forze di produzione, sgancia secondo Saito il materialismo storico marxiano dalle interpretazioni produttiviste e accelerazioniste che vedono nell’«increase of productive forces […] a necessary and sufficient conditions for a post-capital society»[26]. Si tratta della pars destruens della proposta di Saito: il capitale fisso, ma le forze produttive in generale, non possono essere disgiunte dal modo di produzione capitalistico; per questo motivo, esse non possono essere socializzate e riutilizzate in vista di un futuro post-capitalista[27] giacché «under capitalism, new technologies would only reinforce robbery of nature»[28]. Non è possibile, in altri termini, un uso non capitalistico della tecnologia capitalistica – prospettiva, quest’ultima, sinonimo di una “ideologia tecnocratica” che «fetishizes the productive forces» e «suppresses and eliminates the possibilities of imagining a completely different lifestyle and a safe and just society in the face of the economic and ecological crisis»[29] .

Questa rottura epistemologica – ecco il terzo punto – apre in Marx all’elaborazione di un comunismo della decrescita, elaborata negli ultimi anni della sua vita. Insieme al produttivismo, Marx avrebbe infatti abbandonato definitivamente i residui di produttivismo e colonialismo ancora presenti nel Capitale[30], per abbracciare invece una visione del comunismo derivata dalle letture dedicate alle società non capitaliste (le mir russe, le società arcaiche studiate dall’antropologo Morgan) e, come detto, all’ecologia[31]. Saito, tuttavia, riconosce come Marx abbia solo delineato l’idea di un comunismo della decrescita, senza poterla sviluppare a causa della sua morte. Ciò che emerge dalla sua ricostruzione, e ciò che è più rilevante per noi, è che, da un lato, tale comunismo della descrescita mira a riabilitare «the principles of a steady-state economy» nelle società occidentali, e, dall’altro, s’incardina sulla marginalizzazione del valore di scambio a favore del valore d’suo: «Marx’s point is that by abolishing the law of value, it becomes possible to shift the focus of social production to the production of higher use-values and their quality would be freed from the constant pressure of infinite economic growth». Il principio fondamentale del comunismo della decrescita, che segna la specificità della lettura di Saito dell’Antropocene, consiste nel «repairing the metabolic rift»[32], il cui centro è «la trasformazione del lavoro e della produzione»[33].

Concludendo, troviamo in Saito un’interpretazione dell’Antropocene per molti versi analoga a quella di John Bellamy Foster e Malm, ma che individua nella “decelerazione” e nell’uscita dal produttivismo i cardini della trasformazione da operare[34]. Per ciò che ci interessa, l’Antropocene è pensato come l’esito di una frattura metabolica prodotta dal produttivismo intrinseco al capitalismo, e in particolare alla sua tendenza strutturale a incrementare le forze di produzione, esasperando la contraddizione tra materia e forma, tra natura e modo di produzione.


[1] K. Saito, L’ecosocialismo di Karl Marx, tr. it. E. Lenzi, M. Pietrucci, Castelvecchi, Roma, 2023, p. 17. Corsivo nel testo.

[2] Ivi, p. 23.

[3] K. Saito, Marx in the Anthropocene. Towards the Idea of Degrowth Communism, Cambridge Univ. Pr., Cambridge, 2023, p. 123.

[4] K. Saito, Il Capitale nell’Antropocene, tr. it. A. C. Degli Albrizzi, Einaudi, Torino, 2024, p.

[5] K. Saito, Marx in the Anthropocene, cit., pp. 22 e sgg.

[6] Su questo, cfr. M. Tomba, Strati di Tempo. Karl Marx materialista storico, Jaca Book, Milano, 2007, Appendice Seconda.

[7] K. Saito, Marx in the Anthropocene, cit., p. 28; cfr. anche K. Saito, Il Capitale nell’Antropocene, cit., pp. 29-35.

[8] Ivi, p. 29.

[9] Ivi, Cap. 5.

[10] Ivi, p. 109.

[11] Ivi, p. 98.

[12] Ivi, p. 34.

[13] L’idea, ampiamente criticata da Marx, che la crisi economica sia direttamente correlata alla sovrappopolazione. Bellamy Foster ha insistito sulla critica di Marx a Malthur. Cfr. J. B. Foster, Marx’s ecology, cit., Cap. 3

[14] Torneremo su questo concetto nella prossima pagina.

[15] Ma anche tutte le prospettive costruttiviste (Smith, Castree), che vedono nella natura il prodotto del capitale. David Harvey è citato da Saito come emblema di questa tendenza teorica: contro l’idea del limite naturale, Harvey scrive infatti che: «it is crucial to understand that it is materially impossible for us to destroy the planet earth». Cfr. D. Harvey, Justice, Nature and the Geography of Difference, Wiley-Blackwell, Oxford, 1996, p. 196.

[16] K. Saito, Marx in the Anthropocene, cit., p. xx. Ci sembra tuttavia che non sia sufficiente reclamare la realtà materiale della Terra per dimostrare l’esistenza di limiti planetari: in altre parole, l’esistenza dei planetary boundaries non prova l’esistenza di limiti in assoluto per il capitalismo. I progetti di terraforming planetaria. Si veda, di cui discuteremo più oltre, B. J. Bratton, The Terraforming; cfr. anche F. Scharman, Space Settlements, New York, Columbia Univ. Pr., 2019. Cfr. M. D’Eramo, Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi, Feltrinelli, Milano, 2021. È questa una delle critiche mosse da Huber e Philipps a Saito, cfr. M. Huber, L. Philipps, Kohei Saito’s “Start from Scratch” Degrowth Communism, in «Jacobin», online: https://jacobin.com/2024/03/kohei-saito-degrowth-communism-environment-marxism. Ultima consultazione: 31/12/2024.

[17] I «planetary boundaries», come in Foster, testimoniano lo spazio entro cui è possibile condurre in sicurezza le attività umane. Cfr. K. Saito, Il Capitale nell’Antropocene, cit., p. 49.

[18] Scrive Saito: «The MEGA has important theoretical consequences». Cfr. K. Saito, Marx in the Anthropocene, cit., p. 30.

[19] Come mostra Saito, Marx dopo il 1867 intensificò i suoi studi dedicati alle scienze naturali, inclusi quelli critici di Leibig. Cfr. K. Saito, L’ecosocialismo di Karl Marx, cit.,p. xx; cfr. K. Saito, Marxism in the Anthropocene, cit., p. 179.

[20] Che vanno comunque rilevate: ad esempio, Foster sostiene che «Saito non è in grado di fornire la minima prova che Marx, nei suoi ultimi anni di vita, fosse un comunista della decrescita, nel senso che rifiutasse l’espansione delle forze produttive». J. B. Foster, Ecosocialismo e decrescita, tr. it. W. Dal Cin, L. Dal Mas, G. Fava, in «Anthropocene.org», online: https://www.antropocene.org/index.php/529-ecosocialismo-e-decrescita.

[21] Marx descrive questo processo come la transizione dal capitale come oggetto al capitale come soggetto. Cfr. K. Marx, Il Capitale, cit., pp. 456-478.

[22] R. Panzieri, Il lavoro e le macchine. Critica dell’uso capitalistico della tecnologia, Ombrecorte, Verona, 2020, p. 87.

[23] K. Saito, Marx in the Anthropocene, cit., p. 153. Storicamente, com’è noto, questo passaggio si verifica quando avviene il passaggio dal lavoro a mano alla grande industria manifatturiera basata sulla macchina a vapore: qui sono le nuove tecnologie a determinare la composizione del capitale, così come il la scansione temporale della giornata lavorativa in funzione della valorizzazione del valore. Il ritmo della produzione, come scrive Morfino, procede in questo modo sempre più speditamente a diventare il vero e proprio «orologio della storia»[23]. Cfr. V. Morfino, Spinoza e il non contemporaneo, cit. p. 81.

[24] Ivi, p. 153.

[25] K. Saito, Il Capitale nell’Antropocene, cit., p. 158. Com’è noto, Saito recupera questa nozione da Luis Althusser, che la impiegava per descrivere il passaggio dal Marx ancora filosofo delle Tesi su Feuerbach al Marx scienziato dell’Ideologia tedesca e poi del Capitale. Cfr. L. Althusser, Per Marx, tr. it. M. Turchetto, ecc.

[26] Ivi, p. 154.

[27] Scrive altrove Saito: «Abandoning his celebration of the increasing productive forces under capitalism, he came to recognize that the sustainable development of the productive forces is not possible under capitalism because it only reinforces intensive and extensive squandering and robbery of human and nature for the sake of short-term profit».

[28] Ivi, p. 205. Si tratta di una tesi in realtà già presente ne L’ecosocialismo di Karl Marx, cfr. Cap. 5.

[29] Ivi, pp. 153-152.

[30] I due, infatti, sono collegati: rappresentano il riflesso di una concezione teleologica della storia, il cui motore è rappresentato dallo sviluppo delle forze di produzione, e la cui progressione traccia la strada che prenderanno le società non avanzate, relegandole in una sorta di “sala d’attesa” della storia, per usare l’espressione di Chakrabarty. Cfr. D. Charkabarty, Provincializzare l’Europa, cit., p. xx.

[31] Sarebbe stato questo il motivo del ritardo nella pubblicazione del volume II e III del Capitale. Cfr. K. Saito, Marxism in the Anthropocene, cit., p. 199.

[32] Ivi, p. 233.

[33] K. Saito, Il Capitale nell’Antropocene, cit., p. 234. Sono presenti in Saito richiami alla questione della frugalità e della vita buona come elementi della decrescita, e ha ragione Dale quando scrive che in Saito il comunismo della decrescita ha il sapore di un «mutualismo utopico». Il nucleo della sua proposta resta, tuttavia, la riarticolazione del nesso tra lavoro e produzione. Cfr. G. Dale, Il marxismo nell’era dell’emergenza climatica. Sul comunismo della decrescita di Kohei Saito, in «Quaderni della decrescita», cit., pp. 277-281.

[34] Foster si è espresso più volte negativamente, sia rispetto alle tesi storiografiche che a quelle teoretiche, sull’opera di Saito – pur apprezzandone invece L’ecosocialismo di Karl Marx. Si veda J. B. Foster, Ecosocialismo e decrescita, cit.

Giovanni Fava

Classe 1996; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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