Secondo il poeta irlandese William Butler Yeats, ogni duecento anni l’umanità esperisce un ciclo di violenza e caos dove, come recita la sua più celebre poesia Il secondo avvento, «il centro non regge più», «il falco non sente più il falconiere» e una bestia strisciante si insinua verso Betlemme per iniziare una nuova era. Il poeta irlandese scrisse questa poesia in un periodo di grandi tumulti come la Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione Russa, ma rileggendola e osservando quello che stiamo vivendo sembra di rivivere un nuovo gyre, una nuova spirale storica di caos e disordine dove questa volta le bestie che si insinuano sono populisti e sovranisti, che grazie ai nuovi media sanno prendere il potere e disfarsi delle vecchie élite politiche: incantatori di serpenti che, come ha scritto Jianwei Xun in Ipnocrazia, riescono ad prendere le cose che crollano – ritornando a citare Butler Yeats – per creare una realtà fatta di bugie atta a controllare le masse attraverso ad esempio i dati che ogni volta sono costretti a condividere.
Questi nuovi politici li racconta Giuliano da Empoli, scrittore italiano da anni residente in Francia ed ex consigliere politico di Matteo Renzi che dopo esser arrivato in finale al prestigioso Prix Goncourt nel 2022 con Il mago del Cremlino – di cui è stata realizzata una trasposizione cinematografica con Jude Law e Paul Dano protagonisti – torna a scrivere in francese con il saggio L’ora dei predatori (Einaudi, 2025). Da Empoli apre questo resoconto di politici visti da vicino con un’immagine d’effetto: l’imperatore azteco Montezuma che accoglie i conquistadores con svariati doni per evitare la guerra e l’invasione dei suoi territori, cosa che alla fine non gli riuscirà. Se è vero come diceva Cicerone che historia magistra vitae, ovvero la storia ci insegna come evitare certi errori e come, però, certe dinamiche siano sempre pronte a ripresentarsi, da Empoli ci dice, invece, che le vecchie democrazie occidentali si stanno prostrando sempre più ai nuovi conquistadores, spesso guru del digitale e del sovranismo più becero, sperando di domarli, ma in realtà soccombendo a loro:
Nel corso degli ultimi tre decenni, i responsabili politici delle democrazie occidentali si sono comportati, nei confronti dei conquistadores del digitale, esattamente come gli aztechi del XVI secolo. Si sono sottomessi ai lampi e ai tuoni di Internet, dei social e dell’intelligenza artificiale, nella speranza che un po’ di polvere magica si riversasse su di loro.
Come uno «scriba azteco», da Empoli ci racconta L’ora dei predatori discutendo dei i tanti di Vladimir Putin, Donald Trump, il presidente di El Salvador Nayib Bukele e il principe ereditario Mohammad bin Salmān, analizzandone il loro linguaggio, la loro corporeità e il loro modo di esercitare il potere e dimostrando come, a differenza del principe machiavelliano, questi nuovi predatori siano diventati sempre più subdoli e capaci di governare il caos rendendolo uno strumento efficace di controllo della realtà. Per questo motivo, quanto descrive L’ora dei predatori non è altro che una sintesi dei precedenti libri di da Empoli, ovvero Gli ingegneri del caos e Il mago del Cremlino. Qui, Empoli ci racconta infatti non soltanto la creazione del politico populista e della sua credibilità attraverso un lavoro filosofico e mediale capace di trasformare l’incapacità di certi politici in punti di forza, ma anche come l’irrazionalità e la follia umana siano diventati strumenti attraverso cui i nuovi conquistadores sono riusciti, citando di nuovo Butler Yeats, a strisciare verso Betlemme stabilendo un nuovo ordine politico mondiale e diventandone dei messia. Viene in mente, in questo contesto, Homelander nel finale della quarta stagione di The Boys, che attraverso il caos e i disordini createsi con la morte dei candidati presidenti degli Stati Uniti ha successo nell’imporre lo stato d’emergenza e a diventare capo autoritario che attraverso la paura delle masse riesce a governare e a mettere fuori legge tutti coloro che si oppongono ai Supes, versione fumettistica e televisiva dei nostri leader populisti nelle fattezze di supereroi che professano il bene, ma in realtà agiscono con violenza violando ogni legge esistente.
Fra i principali responsabili dell’avanzata di questi nuovi conquistadores, secondo da Empoli, c’è la tecnologia e l’avvento dell’intelligenza artificiale, che paradossalmente ha reso più economico attaccare che difendersi, nel senso che, se come dice da Empoli con soli ventimila dollari si può comprare un sintetizzatore di DNA che crea nuovi agenti patogeni letali, ci aspetterà un’era di violenza illimitata dove difendersi diventerà sempre più difficile:
Oggi le nostre democrazie sembrano solide. Ma non c’è dubbio che il peggio debba ancora venire. Il nuovo presidente americano si è messo alla testa di un variopinto corteo di autocrati disinibiti, di conquistadores tecnologici, di reazionari e di complottisti impazienti di costruire un mondo nuovo. Un’èra di violenza illimitata si profila all’orizzonte e, come ai tempi di Leonardo, i difensori della libertà sembrano particolarmente impreparati al compito che li attende.
La chiave di interpretazione sta nell’espressione «come ai tempi di Leonardo». Nel saggio di da Empoli c’è difatti la consapevolezza di una Storia che ciclicamente si ripete, anche se con strumenti più subdoli rispetto a prima. Un esempio è la storia di Mohammad bin Salām, principe ereditario che al Ritz Carlton Hotel di Riyad isola principi e miliardari per sottoporli a duri interrogatori per far sì che confessino di essere coinvolti in atti di corruzione al posto del principe ereditario, che da Empoli racconta in parallelo a quella di Cesare Borgia alla rocca di Senigallia per punire i suoi ex alleati, anche se quest’ultimo è stato più più cruento. Ciò che si nota leggendo questo esempio oppure quello di Nayib Bukele che fa arrestare tutti coloro che portano tatuaggi arrivando, con mezzi poco umani, a ridurre la criminalità a El Salvador e di Donald Trump che impone «un giorno di vera violenza» per far sì che la polizia possa risolvere il problema della delinquenza giovanile, problema secondo il tycoon creato dalla sinistra liberale, è che come ai tempi dei Borgia il caos e la violenza sono ormai diventati strumenti per consolidare il potere:
Quel che è cambiato, da noi, rispetto a otto anni fa, è che l’impalcatura di istituzioni e regole sulle quali si fondava il vecchio ordine, è sostanzialmente crollata. Se a metà degli anni Dieci del Duemila i brexiter, Trump e Bolsonaro potevano essere considerati un gruppo di outsider che sfidavano l’ordine costituito e adottavano una strategia del caos, come fanno gli insorti in guerra con un potere superiore, oggi la situazione si è ribaltata: il caos non è più l’arma dei ribelli, ma il sigillo dei potenti.
Se una volta c’erano capi saggi, riflessivi, che leggevano ciò che i consiglieri gli passavano, ora ci sono leader come Trump che smettono di riflettere ma agiscono, prendono decisioni sfrontate che spiazzano gli avversari, perché i borgiani si muovono nel caos e lo portano alle estreme conseguenze. Con i nuovi media – esemplare l’uso di TikTok da parte di Bukele –, inoltre, tutto questo viene spettacolarizzato per rendere di più forte impatto la forza di questi nuovi leader che agli occhi di tutti appaiono uomini forti al potere capaci di risolvere i problemi. È proprio attraverso i social media che i nuovi Borgia rigettano la forma e alimentano le fratture, perché solo surriscaldando l’atmosfera del dibattito pubblico, solo creando contrapposizioni e dividendo le masse si governa. In tutto questo sono coadiuvati quindi dai signori delle big tech, che con l’accelerazionismo della condivisione dei dati e la rottura di ogni codice etico e barriera che vede il beneplacito dei cittadini riescono a trasformare i dati in potere, il caos in ordine plasmato a loro immagine e somiglianza. Questo nega di conseguenza una prospettiva futura, accorcia i tempi, rende tutto presente impedendo la possibilità di progettare e dunque di essere indipendenti attraverso il proprio pensiero:
Nell’ora dei predatori […] abbiamo sempre più informazioni e siamo sempre meno in grado di prevedere il futuro. I nostri antenati vivevano in società molto più povere di dati, ma erano in grado di pianificare per se stessi e per i loro discendenti. Noi abbiamo un’idea sempre più incerta del mondo in cui ci sveglieremo domattina.
Da Empoli conclude la sua dissertazione con l’immagine del Castello kafkiano, che secondo lui è già presente attorno a noi, fra i corrieri che non hanno contatto con nessun datore di lavoro se non con una macchina che risponde a logiche algoritmiche così come gli amministratori di Waze che non possono fare nulla contro un algoritmo che fa risparmiare tempo agli automobilisti causando disagi per chi vive in prossimità di alcune strade molto trafficate. Questo succederà in futuro: i nuovi leader che introducono l’irrazionalità e la follia saranno rimpiazzati da leader fantasma, irraggiungibili come la burocrazia kafkiana che gestiranno le cose senza il minimo controllo e che dirigeranno l’agire umano secondo la non-logica. Il Castello kafkiano è simbolo di questo potere che si alimenta di caos e irrazionalità, che ben presto sostituirà la conoscenza alla fede, perché in un modo dove le big tech e l’IA hanno annullato il futuro, si rinuncia a conoscere le cose e a fidarsi ciecamente di esse.
Questo, in fondo, ci racconta Giuliano da Empoli in L’ora dei predatori, una sorta di Il Principe machiavellico dei tempi nostri: che la storia è destinata a ripetersi, che il caos fa emergere nuovi leader sempre più cinici e spietati che prima o poi finiranno vittima della loro stessa irrazionalità nel momento in cui le macchine controlleranno anche il loro agire, ma che forse una speranza c’è e sta nel non abbandonare la ragione e nel provare a immaginare un futuro. Solo se si continua a usare la ragione e l’immaginazione si riuscirà a domare il caos, a essere padroni del proprio destino e di quello dell’umanità e a sottrarsi alla psicopolitica e all’infocrazia, un controllo delle masse che passa attraverso l’ipnosi, la ripetizione automatica di dati condivisi che prevedono le nostre mosse intrappolandoci in un eterno presente di paura e violenza.