Sull’ontologia del presente, a partire da Foucault

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All’inizio della lezione inaugurale del corso del 1982-1983 sul Governo di sé e degli altriMichel Foucault ripensa retrospettivamente tutto il suo percorso intellettuale, mostrando in che cosa la metodologia che egli chiama «storia del pensiero» ovvero il tipo di analisi da lui praticata, differisca dalle modalità più classiche di elaborazioni della storia delle idee e dei sistemi concettuali.

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Dalla prospettiva di Foucault, si tratta di esaminare, ritrovandoli all’incrocio dei tre assi teorici di sapere-potere-soggetto, i “focolai di esperienza” che danno origine alle diverse “ontologie di veridizione”. Come più avanti Foucault espliciterà nell’Introduzione del secondo volume della sua Storia della Sessualità, l’apporto svolto dall’asse del soggetto nella disamina storica gli permette di pensare in maniera nuova la relazione, che prima era rimasta solamente diadica, tra sapere e potere[1]

Kant e l’Illuminismo

Ora, è in Kant che Foucault trova un interlocutore privilegiato a partire dal quale leggere il problematico rapporto tra il governo di sé e il governo degli altri, e, soprattutto, alla luce del quale riassumere il significato della sua idea di ricerca filosofica, insistendo sulla tensione, che già Kant vedeva, tra riflessione filosofica e momento presente[2]

Il testo preso in esame da Foucault, sia nella lezione introduttiva al corso sul Governo di sé e degli altri, sia in un altro intervento di commento autonomo, è la kantiana risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo? La specificità dell’operazione kantiana consiste nel far emergere, per la prima volta, la questione del presente, dell’attualità, rispondendo alla domanda: «che cosa accade oggi?». Il presente, dunque, sarebbe inteso da Kant come un evento da lasciar emergere per mezzo del discorso filosofico e alla luce del quale interpretare il significato della contemporaneità. In questo senso, la filosofia, ed è qui che Foucault si riallaccia a Kant, lungi dal perseguire la strada di un’analitica della verità, ossia di un discorso intorno alle condizioni di possibilità della conoscenza[3], deve configurarsi come interrogazione critica sull’emersione dell’attualità, quale differenza introdotta dall’oggi rispetto allo ieri[4].

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L’oggi, il presente, va interrogato come momento teso tra l’essere il frutto di un passato, la continuazione di una storia, e, insieme, l’apertura di un futuro, il motivo per un compito filosofico particolare. Bisogna, come scrive Foucault, in un movimento di presa di coscienza della transitorietà della storia, avere il coraggio di «cavare l’eterno dal transitorio»[5], riaffermare e riafferrare nella storia una traccia di eternità. Per questo motivo, quello descritto da Kant non è propriamente un modello conoscitivo d’interrogazione della storia, ma, piuttosto, un atteggiamento, o, per usare un lessico più foucaultiano, un ethos. Quest’ultima tesi, della quale Foucault trova un modello esemplare in Baudelaire, si giustifica per il fatto che la critica comprende il soggetto che la esercita, trovandosi esso stesso immerso nel presente che si tratta di far emergere nel discorso filosofico. La “verticalità” dell’interrogazione critica comprende il “noi” che appartiene all’attualità dal quale essa, la critica, proviene, e ciò deve necessariamente confluire in un rivolgimento etico. 

Ontologia del presente

Ora, Foucault propone diversi nomi a quest’idea di critica che elabora a partire dai testi sull’Illuminismo di Kant, chiamandola “ontologia critica di noi stessi”, in un altro luogo, “ontologia dell’attualità”, o, ancora, “ontologia del presente”. Nell’articolo sull’Illuminismo, Foucault precisa che:

 «non bisogna considerare l’ontologia critica di noi stessi come una teoria o una dottrina, e nemmeno come un corpo permanente di sapere che si accumula; bisogna concepirla come un atteggiamento, un ethos, una vita filosofica in cui la critica di quello che siamo è, al tempo stesso, analisi storica dei limiti che ci vengono posti e prova del loro superamento possibile»[6].

È quanto si diceva all’inizio del paragrafo sul presente inteso come differenza. L’ontologia critica del presente, o di noi stessi, si occupa dunque di decifrare il presente in quanto “evento filosofico” per rintracciare in esso l’indizio di una differenza, di una frattura che l’oggi introduce rispetto allo ieri. Come ha notato Filippo Domenicali,

«l’ontologia dell’attualità si pone dunque un compito che è duplice: fare la diagnosi del presente serve a individuare i punti deboli attraverso i quali è possibile operare una trasformazione, controllati e agiti attivamente attraverso la pratica o anche la sperimentazione di una libertà possibile. In sintesi: l’ontologia dell’attualità è uno strumento concettuale al servizio della “pratica di libertà”»[7]

Presente e attuale

Per comprendere quest’ultimo punto, è necessario specificare che il “presente” non è lo stesso dell’”attuale”. Il presente è la ripetizione che apre alla differenza, ovvero «presente è soltanto un segmento di tempo che ci lega alla nostra storia. Attuale è […] la pura discontinuità che prelude al nuovo»[8]. Accogliendo un rilievo di Deleuze, Domenicali suggerisce quindi di interpretare l’ontologia dell’attualità nei termini di quell’operazione critica che ha l’ambizione di «pensare il presente come evento da decifrare filosoficamente»[9]. Mentre l’ontologia del presente si domanda “chi siamo noi oggi?”, l’ontologia dell’attualità è in tensione rispetto ad un “fuori” attraverso la messa in discussione della nostra stessa identità aperta al suo “divenir-altro”. Essa, pertanto, si domanderà, “chi stiamo diventando”?[10]. Conclude Domenicali, «l’attuale rappresenta la differenza che si scava nel presente e lo espone a ciò che è diverso, all’Altro da sé»[11]

L’orizzonte della critica

L’obiettivo della critica, intesa quale “ontologia del presente”, è quindi duplice: da un lato, riconoscendo nel presente l’evento che apre alla differenza, indicare una via possibile in direzione di un “fuori” attuale, in quel «travaglio paziente che dà forma all’impazienza della libertà»[12]. Non si tratta di rifiutare il presente ed elaborare uno schema concettuale alternativo ad esso, ma, e qui veniamo al secondo aspetto della critica, smarcandosi da qualsiasi impresa trascendentale, rintracciare «gli eventi che ci hanno condotto a costituirci e a riconoscerci come soggetti di ciò che facciamo, pensiamo e diciamo»[13]. La critica è un’operazione genealogica e archeologica, ossia tutta rivolta al riconoscimento delle possibilità che si sono schiuse nel corso della storia per occluderne nel medesimo tempo di altre e sfociare nella costruzione di una particolare “ontologia della veridizione”. L’ontologia dell’attualità va allora concepita come storia delle ontologie della veridizione, ossia analisi storica delle condizioni di possibilità del discorso vero incrociando i tre assi di verità, potere, soggettività.

Foucault quindi può sostenere, con grande intelligenza, che nel lavoro della critica è legittimo costruirsi la propria storia, fabbricarla[14] come una finzione per ricostruire l’ontologia di veridizione che ci ha costituiti come tali, e che, per la stessa ragione, scalza il carattere deterministico del momento presente, aprendo una via possibile all’attualità. Si tratta di «dimostrare che un fatto non era necessario, che non era così evidente che i folli dovessero essere riconosciuti come malati di mente; che non era evidente che la sola cosa da fare con dei delinquenti fosse di rinchiuderli, che non era così evidente che le cause della malattia fossero fa cercarsi nell’esame individuale del corpo»[15]; si tratta di fendere la gabbia d’acciaio del presente ed aprirlo alla contingenza; si tratta, infine, di trovare lo spazio della propria libertà


Note:

[1] Manlio Iofrida, Diego Melegari, Foucault, Carocci, Roma 2017, pp. 288-289. 
[2] Michel Foucault, Le gouvernement de soi et des autres, Seuil\Gallimard, Parigi 2008. tr. it. M. Galzigna, Il governo di sé e degli altri, Feltrinelli, Milano 2009, p. 16.
[3] Strada, peraltro, del tutto legittima, ma dalla quale Foucault si smarca, indicandola come peculiare della tradizione filosofica anglosassone. 
§[4] Michel Foucault, Che cos’è l’Illuminismo, in M. Foucault, (a cura di A. Pandolfi), Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. Vol. 3, Feltrinelli, Milano, 2020, p. 219. 
[5] Ivi, p. 224.
[6] Ivi, p. 231.
[7] Filippo Domenicali Biopolitica e libertà, Orthotes, Napoli-Salerno, 2018, p.43. 
[8] Ivi, p. 50. 
[9] Ivi, pp. 50-51.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Foucault, Che cos’è l’Illuminismo, p. 232.
[13] Ibidem.
[14] Michel Foucault, Qu’est-ce que la critique? Suivie de La culture de soi, Parigi, Vrin, 2015, p. 48: «de se faire sa propre histoire, de fabriquer comme par fiction».  Il verbo “fabriquer” è in corsivo nel testo e sottolineato nel manoscritto originale. Anche ne Il governo di sé e degli altri, p. 296, Foucault definisce l’ontologia come una finzione. 
[15] Michel Foucault, Tavola rotonda del 20 maggio 1978, in M. Perrot (a cura di), L’impossibile prigione, tr. it. di M. G. Meriggi, Rizzoli, Milano 1981, p. 37, citato in Domenicali, Biopolitica e libertà, p. 52.

Giovanni Fava

Classe 1996; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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