“Vorrei parlare di pittura”.
Con queste parole Gilles Deleuze apre il suo corso, tenutosi nella primavera del 1981 fino al 2 giugno dello stesso anno, presso l’Istituto Tecnologico di Saint-Denis, mentre gli studenti si affrettano a registrare le sue lezioni.
Infatti, il testo pubblicato da Einaudi e intitolato Sulla pittura. Corso marzo-giugno 1981, non è stato scritto direttamente dalla penna di Deleuze, ma è il frutto di una meticolosa trascrizione delle registrazioni prese dagli studenti durante le lezioni che si tenevano ogni martedì e, per tale motivo, presenta talvolta delle lacune.
Sono gli anni in cui il filosofo francese si dedica ai temi dell’estetica, come dimostra il fatto che proprio nel 1981 pubblica Logica della sensazione, un’opera in cui esplora la pittura di Francis Bacon, frequentemente citato anche durante il corso insieme ad altri pittori come Cézanne, Van Gogh, Turner, Gauguin, ecc., e di cui non mostrerà mai i dipinti in quanto – spiega – bisogna imparare a “sentire” le opere invece di limitarsi semplicemente a vederle.
Le sue lezioni partono da domande fondamentali e cruciali (una caratteristica del pensiero deleuziano, che si sviluppa come un flusso tortuoso e serpeggiante non sempre semplice da seguire): che cos’è l’arte pittorica? E che cosa può offrire alla filosofia?
L’obiettivo di Deleuze non è scoprire, se esiste, l’essenza dell’arte del dipingere, quanto piuttosto generare concetti che possano in qualche modo illuminare il mondo della pittura intrecciandosi con il pensiero filosofico.
Uno dei primi concetti approfonditi da Deleuze è quello di catastrofe, che non ha a che fare soltanto con il tema delle valanghe o delle tempeste che vediamo in quei quadri che tanto ci affascinano e attirano la nostra attenzione in un museo, ma è il momento intrinseco all’atto stesso del dipingere. In realtà, la catastrofe rappresenta il momento pre-pittorico, l’istante che precede l’intervento del pittore sulla tela, lo scompiglio che deve essere affrontato affinché possa emergere il colore o, come direbbe Paul Klee, il “caos primordiale” prima dell’uovo e della cosmogenesi.

“Nel profondo, l’atto del dipingere non deve forse sempre affrontare, comprendere una catastrofe, anche quando ciò che viene rappresentato non è una catastrofe?”
Chiede, ancora, il professor Deleuze ai suoi studenti, ma questa volta lo fa attraverso una domanda retorica.
Infatti, da questa prospettiva, il concetto di catastrofe si distacca dalla semplice nozione di disastro, diventando piuttosto un momento necessario di trasformazione e di potenzialità. Nell’attimo della catastrofe il pittore, affrontando il bianco della tela, si confronta con un vuoto, un non-detto, un puro nulla che precede ogni gesto pittorico per poter finalmente dar vita alla sua opera.
Ancora una volta Paul Klee, nelle sue lettere e scritti teorici, identificherà bene «questo essere-nulla o il nulla che è qualcosa», che è la nozione di catastrofe, in termini di “punto grigio”: un inizio indefinito che non è né bianco, né nero, ma in cui è racchiusa ogni possibilità creativa.
Lo stesso Francis Bacon, il pittore che Deleuze prende come riferimento centrale, con le sue figure distorte, i corpi lacerati, le immagini violentemente contorte, è l’esempio perfetto di come l’arte possa esplorare la profondità della catastrofe. Non si tratta solo di rappresentare una tragedia esterna, ma di far emergere dal caos e dai cliché una nuova forma, una nuova percezione del mondo.

Da ciò si comprende bene come la riflessione sull’arte di Deleuze non si limita ad essere un’analisi estetica della pittura, ma diventi una riflessione sul pensiero stesso.
Il corso del 1981 si offre, pertanto, come un laboratorio di concetti e sensazioni, un luogo dove l’arte e la filosofia si intrecciano in un continuo gioco di rimandi.
L’intento di Deleuze non è quello di trovare la risposta definitiva alla domanda iniziale “che cos’è la pittura?”, ma di aprire nuovi orizzonti, battere nuovi sentieri e mettere in discussione le definizioni preesistenti, per invitare chi ascolta a riflettere insieme su ciò che l’arte può fare ed apportare cambiamenti nell’individuo e nella società.
La pittura, secondo Deleuze, è il luogo dove la filosofia e l’estetica possono incontrarsi per dare vita a qualcosa di nuovo, che va oltre la semplice “dottrina del bello” e la rappresentazione visiva.
In altri termini, l’arte pittorica cessa di essere la mera riproduzione di un oggetto esterno ma diventa la disperata lotta cezanniana di dare “inizio al mondo”.
In fondo, se, come il filosofo francese sosterrà a lezione, “la pittura è concretare le forze che agiscono sulle forme”, ciò non può che tradursi nella pratica attiva e costante di evitare che la catastrofe possa inghiottire tutto fino al dissolvimento stesso di qualsiasi forma.
Ogni opera d’arte è, in questa ottica, l’incessante sforzo affinché possa elevarsi “quell’alba di noi stessi al di sopra del nulla”.