Che alcuni videogiochi richiedano l’uso di abilità cognitive è ormai noto. Ma che fosse possibile giocare solo con l’utilizzo del proprio cervello, non è cosa scontata. Incredibilmente, però, Perrikaryal è riuscita nell’impresa. La streamer di Twitch, infatti, ha sconfitto un boss del videogioco Elden Ring unicamente grazie al cervello. Ha potuto raggiungere questo traguardo utilizzando un dispositivo, di sua invenzione, la cui tecnologia alla base è l’elettroencefalogramma (Eeg), che legge gli impulsi elettrici del suo cervello e li converte in azioni nel videogioco. Così, ad esempio, l’attivazione di una specifica area cerebrale corrispondeva all’attacco con la spada.

Diffusione dell’interfaccia cervello-macchina
Perrikaryal si è inoltrata in un settore tecnologico che è in crescente espansione. La dimensione del mercato globale dell’interfaccia cervello-computer (in inglese brain-computer interface o Bci) è stimata a 2 miliardi di dollari nel 2024 e dovrebbe raggiungere i 3.25 miliardi di dollari entro il 2029. Tra tutti i fattori, la crescente prevalenza dei disturbi neurodegenerativi è il fattore principale che dovrebbe guidare il mercato delle Bci nel periodo di previsione. Dalla sua invenzione nel 1973, ad opera di un ex tenente dell’Air Force belga Jacques Vidal, sono stati fatti enormi progressi e le Bci hanno conosciuto un periodo di progresso straordinario, soprattutto in ambito clinico. Il principale merito di questa tecnologia è che permette alle persone locked-in di comunicare. I pazienti in tale condizione hanno il corpo completamente paralizzato, a eccezione degli occhi, ma sono coscienti e rispondenti agli stimoli. Grazie alle Bci, ad oggi i pazienti locked-in hanno la possibilità di utilizzare tablet, scrivere e-mail o guardare un video su YouTube, ma anche di controllare oggetti come braccia robotiche o sedie a rotelle elettroniche. Ciò è possibile attraverso un lavoro di ‘lettura’ dell’attività cerebrale. Tuttavia, è ad oggi possibile anche ‘riscrivere’ i segnali neurali al fine di risolvere una patologia neurale o di potenziare la nostra intelligenza, attraverso quella che viene chiamata “neurostimolazione”. Grazie a questa tecnica, per esempio, possiamo oggi trattare i sintomi motori di disturbi neurologici come il Parkinson.
L’utilizzo di questi strumenti non è tuttavia limitato all’ambito clinico. Per esempio, la casa automobilistica Nissan ha, di recente, lanciato il progetto Nissan Brain to Performance, attraverso il quale punta alla creazione di una Bci che permetta di monitorare le onde cerebrali di un guidatore al fine di prevenire possibili cali di attenzione dovuti alla stanchezza o al sonno. Questo, secondo la Nissan, dovrebbe migliorare la sicurezza e la qualità della guida.

L’occhio dei colossi digitali
Com’è ovvio, negli ultimi anni le Bci hanno attirato l’attenzione di tante aziende non legate alla sanità e alla ricerca. Tali neurotecnologie sono proliferate sul mercato, diventando beni di consumo anche per persone sane da un punto di vista clinico. Ciò è stato possibile perché le Bci sono diventate via via meno ingombranti e più economiche. Sono state, quindi, creati una serie di dispostivi di uso comune come le Bci utilizzabili per giocare ai videogiochi senza l’ausilio delle mani (come insegna Perrikaryal), oppure per ascoltare la musica con delle cuffie che consentono di leggere le onde cerebrali, o nel neuromarketing per valutare meglio le esigenze dei clienti. È scontato che aziende come Meta e Neuralink (la società di Elon Musk che produce interfacce cervello-computer) che fondano il loro modello di business sull’accumulazione senza freni di dati, abbiano investito su questo mercato, per esempio, per permettere agli utenti di navigare sui social senza l’uso delle mani. Proprio per via di questa comodità, molti esperti del settore credono che le Bci sostituiranno le tastiere, i mouse e i touch screen consentendo una via di comunicazione più immediata e, progressi tecnologici permettendo, più personalizzata.
Dati neurali e diritto
D’altra parte, è evidente che questo tipo di strumenti si porta con sé un’enormità di questioni etiche e legali che vanno affrontate in maniera accurata, se le democrazie non vogliono farsi trovare impreparate. Partendo dall’ultimo aspetto, quello legale, possiamo rilevare un elemento sul quale vale la pena soffermarsi. I dati raccolti da strumenti come le Bci non appartengono a nessuna categoria specifica di dati riconosciuta giuridicamente. InEuropa, i dati cerebrali non fanno parte dell’attuale tassonomia giuridica. Ciò significa che le aziende che producono neurotecnologie non sono soggette agli stessi controlli previsti, per esempio, per quelle che si occupano di dati genetici. I dati cerebrali possono, in altri termini, essere riutilizzati liberamente per fini commerciali.
Per quanto riguarda i problemi etici, poi, le sfide sono molteplici, considerando anche tutte quelle che si applicano all’etica dell’intelligenza artificiale (ia). Infatti, come accade con i dati utilizzati per l’addestramento delle ia, i ‘neurodati’ sono a disposizione di una fascia ristretta della società, ossia i detentori dei colossi digitali come Facebook, Google e Amazon, e ciò li pone in una condizione di potere rispetto alla maggior parte della popolazione. Quest’ultima, come già accade per gli altri tipi di dati, volente o nolente garantirà un continuo afflusso di neurodati alle società digitali che, potranno poi disporne come vorranno.
Inoltre, se queste tecnologie dovessero diffondersi nel mercato, ci sarebbero altri aspetti da tenere in considerazione. Per esempio, il fatto che per la prima volta nella storia dell’umanità, si potrà venire a conoscenza di ciò che avviene all’interno del cervello. Questo significa che pensieri, emozioni, desideri, memorie, potranno essere comunicati senza bisogno di nessuna intermediazione. Se fino a ieri per conoscere ciò che una persona ha in testa abbiamo dovuto affidarci a segnali indiretti, come comportamento e linguaggio, con le Bci non esisterà più nessun limite fisico alla ‘lettura’ e ‘riscrittura’ dell’attività cerebrale. Ciò ha delle enormi implicazioni per quanto riguarda privacy, identità personale e responsabilità morale.

Ripensare l’identità personale e la responsabilità morale
Già messa in forte difficoltà dai vari strumenti digitali, la nostra privacy riceverebbe un colpo di grazia dall’uso delle Bci. La rilevazione dell’attività neurale darebbe accesso agli stati mentali e la digitalizzazione di questi dati aprirebbe la strada alla diffusione, o addirittura al furto, di informazioni private da parte di terzi. Un altro pericoloso scenario è quello messo in luce da uno studio del 2013, il quale ha trovato una correlazione tra una bassa attività in una regione della corteccia cerebrale associata al processo decisionale e la probabilità di recidiva di alcuni ex-detenuti. In altre parole, minore era l’attività in questa zona del cervello, maggiore era la probabilità di commettere nuovi reati entro quattro anni dal rilascio. Se queste correlazioni dovessero essere confermate, si potrebbe immaginare uno scenario di polizia predittiva. Attraverso il riconoscimento del biomarcatore neurale, le autorità potrebbero preventivamente fermare un cittadino, poiché sono più alte le probabilità che commetta reati di qualche tipo. A questo punto però, sarebbero sconvolte le fondamenta dello stato di diritto e le basi filosofiche su cui si fonda la legge.
Data, poi, la possibilità di inserire le ia nell’utilizzo di interfacce cervello-computer assieme alla neurostimolazione, sarebbero in discussione concetti come identità personale e responsabilità morale. Infatti, se in una Bci fossero presenti componenti di ia potrebbe essere complicato per le persone capire se l’output comportamentale sia causato dall’utente o dalla macchina. Questo eroderebbe il principio della responsabilità individuale. Inoltre, com’è emerso da uno studio dell’Università della Tasmania, in cui alcuni pazienti neurologici con Bci impiantate nel cervello hanno esperito uno scombussolamento della propria personalità soggettiva, l’identità personale potrebbe essere scossa sia in senso fenomenologico sia in senso giuridico. Anche il concetto stesso di “uomo” può subire delle drastiche trasformazioni in seguito alla diffusione in larga scala di tecnologie neurali. Andranno considerati ancora “esseri umani” quelle persone le cui abilità sono potenziate dalle Bci?
C’è una via d’uscita? Se per un verso tali strumenti promettono di migliorare la qualità della vita di molte persone e di potenziare le capacità umane, per un altro le questioni legate ad una loro proliferazione globale sono molto preoccupanti. Alla luce di quanto è già successo con social e ia, le società che vorranno normare l’utilizzo di questi strumenti faranno un’enorme fatica. È probabile che ci stiamo avviando in un futuro in cui ci sdraieremo sul divano indossando cuffie “neurali” per ordinare su Amazon e scegliere film su Netflix senza l’uso delle mani, mentre le società digitali rilevano le onde cerebrali per affinare sempre di più le proposte dell’algoritmo in funzione dei nostri desideri, gusti, ed emozioni del momento. O ancora, in cui un’ia farà risuonare una musica o ci proietterà un video o un’immagine, in maniera perfettamente allineata al nostro stato d’animo e alle nostre inclinazioni. Ed episodi come quello di Perrikaryal ci ricordano che questo futuro non è poi tanto lontano