Il termine “nichilismo” è sicuramente uno dei termini che, a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, si è imposto con forza nel dibattito filosofico. Tuttavia, il merito della diffusione di questo termine non è riconducibile propriamente ad un’opera filosofica, quanto piuttosto ad un romanzo.
L’utilizzo del termine “nichilismo” e del relativo aggettivo si può rintracciare in realtà già a partire dalla fine del diciottesimo secolo in alcuni scritti del filosofo tedesco Friedrich Jacobi, che avrebbe utilizzato il termine per indicare «il modo in cui Dio viene fatto rientrare nella considerazione della filosofia, da Spinoza a Fichte, fino a Schelling»[1]. Per Jacobi, questi sistemi filosofici, frutto di un utilizzo di una rigida argomentazione e del più ferreo razionalismo, avrebbero portato inevitabilmente a sistemi in cui Dio diventava «oggetto di un sapere discorsivo, dialettico, razionale, e cessa[va] di essere l’Assoluto puro e semplice a cui solo un coglimento diretto di tipo intuitivo può arrivare»[2].
Nonostante questi primi usi in ambito strettamente filosofico, il termine acquisisce popolarità grazie al romanzo di Ivan Turgenev, Padri e figli, del 1862.
La genesi di un concetto
Il suddetto romanzo nasce come reazione e critica alla nuova generazione russa: infatti, se nei decenni precedenti il dibattitto filosofico russo era stato dominato dall’influenza dell’idealismo tedesco, specie da Schelling e da Hegel, la generazione a cui fa riferimento Turgenev è una generazione che porta avanti una visione del mondo disincantata, che mette in discussione tutto quanto è radicato nella tradizione. Sostenuti dalle opere di Feuerbach e dei materialisti tedeschi che in quegli anni giungono in Russia, i giovani russi erano prevalentemente materialisti e spesso atei, anarchici e fermi sostenitori del darwinismo, che proprio in quegli anni iniziava a diffondersi. La nuova generazione quindi, più che rifarsi all’idealismo, aderisce al positivismo: prova ne è che molti di loro si danno allo studio delle scienze naturali e della medicina, simbolo di progresso e pragmatismo.
È proprio in questo contesto che prende forma il nuovo “tipo” di giovane russo, esatto opposto del tipo letterario che aveva dominato la letteratura russa nei decenni precedenti, ovvero “l’uomo superfluo”. La letteratura russa degli anni ’40-’50 aveva infatti prodotto un modello di personaggio letterario spesso appartenente all’aristocrazia, colto, ma anche profondamente indifferente rispetto alla vita e alla società, sopraffatto da una noia esistenziale e dall’incapacità totale di agire e di vivere. Si potrebbe pensare che questo tipo di personaggio incarni la figura del nichilista; invece, i motivi che portano l’uomo superfluo ad essere tale non derivano da una mancanza di valori e ideali o da altre ragioni prettamente filosofiche: sono uomini appartenenti all’alta società, ma incapaci di adattarsi ai cambiamenti cui il Paese sta andando incontro, e anche per questo paralizzati rispetto all’agire e abbandonati ad una totale apatia. Esempi di questo tipo letterario sono Evgenij Onegin di Puškin, Čulkaturin di Turgenev e anche Oblomov di Gončarov.
I giovani degli anni 60, quelli che assumeranno l’appellativo di nichilisti, sono invece estremamente dediti all’azione e alla rivoluzione, seppure privi di un sostegno valoriale che guidi le proprie vite, almeno apparentemente. Padri e figli, quindi, introduce l’aggettivo “nichilista” proprio per rifarsi, con accezione negativa, a questi nuovi uomini. Non si deve pensare però che il termine venga usato nel romanzo con lo stesso significato che assumerà a partire dall’opera nicciana.
Bazarov, il primo nichilista
Il personaggio principale del romanzo è Bazarov, un aspirante medico, ma soprattutto il nichilista per antonomasia del romanzo, che viene così descritto dall’amico Arkadij allo zio:
“Che cos’è Bazarov?” Arkadij sorrise. “Vuole, zietto, che le dica chi è veramente?”
“Fammi la cortesia, nipotino”.
“E’ un nichilista. […]
“Nichilista,” proferì Nicolaj Petrovič. “Viene dal latino Nihil, niente, per quel che posso giudicare; vale a dire, questa parola definisce un uomo che… che non riconosce niente?”
“Di’: che non rispetta niente” lo corresse Pavel Petrovič […].
“Che considera tutto da un punto di vista critico,” osservò Arkadij.
“E non è la stessa cosa?” chiese Pavel Petrovič.
“No, non è la stessa cosa. Nichilista è un uomo che non si inchina di fronte a nessuna autorità, che non assume nessun principio come fede indipendentemente dal rispetto da cui questo principio è circondato.” […]
“Ecco. Allora, vedo, non è una cosa che fa per noi. Noi siamo uomini del secolo scorso, noi crediamo che senza […] principi, senza assumere, come dici tu, una fede, non si fa un passo, non si può respirare. […] Noi staremo ad ammirarvi, signori… com’era?”.
“Nichilisti” proferì distintamente Arkadij.
“Sì, prima erano hegelisti, adesso invece nichilisti. Vedremo, come sopravvivrete nel nulla, in uno spazio senza aria”. [3]
Fin qui si può notare certamente la caratterizzazione tipica del “nichilista”: nichilista è colui che “considera tutto da un punto di vista critico”, colui che non riconosce valore assoluto a niente. Eppure, il nichilista di Turgenev ha un’altra importante caratteristica: è uno scienziato, come molti suoi coetanei, e ripone la sua fiducia non tanto nel sapere scientifico in quanto tale, ma in un sapere pratico, sperimentale e basato sull’osservazione. Emblematico è il passo in cui viene descritta la scena in cui Bazarov è intento a cacciare delle rane:
“Il mattino dopo Bazarov si svegliò prima di tutti e uscì di casa. […] In qualche minuto aveva percorso tutti i sentieri del parco, era entrato nella stalla, nella scuderia, aveva trovato due ragazzetti della servitù con i quali aveva fatto conoscenza e si era diretto con loro verso una piccola palude, a una versta dalla villa, per rane.
“A cosa ti servono le rane, signore?” gli chiede uno di quei ragazzini.
“Ascolta,” gli rispose Bazarov, […] “io la rana la taglio, e poi guardo cosa succede là dentro; e siccome io e te siamo anche noi rane, solo che camminiam sulle gambe, io saprò anche cosa succede dentro di noi.” […]
Bazarov si avvicinò rapidamente alla terrazza e, dondolando la testa, disse: “Buongiorno signori; scusate il ritardo per il tè; torno subito; devo sistemare questi prigionieri”.
“Che cos’ha, delle sanguisughe?” chiese Pavel Petrovič.
“No, delle rane.”
“Le mangia o le alleva?”
“Per gli esperimenti,” disse con indifferenza Bazarov e entrò in casa.
“Si metterà a sezionarle,” osservò Pavel Petrovič, “nei prinsìpi non ci crede, ma nelle rane ci crede.” [4]
Dal passo in questione emerge, oltre al chiaro interesse per le scienze, l’influenza del darwinismo e la relativa concezione dell’uomo come assimilabile a tutti gli altri animali e non più in una posizione naturalmente e ontologicamente superiore rispetto ad essi.
L’interesse per le discipline scientifiche si lega anche ad un altro importante tema: la svalutazione delle discipline artistiche e umanistiche, caratteristica assente nel significato che successivamente acquisirà il termine “nichilismo”:
“Un chimico come si deve è venti volte più utile di qualsiasi poeta,” lo interruppe Bazarov.
“Ah, ecco,” disse Pavel Petrovič […]. “Lei, quindi, non riconosce l’arte?”
“L’arte di far soldi, ovvero non più emorroidi!” esclamò Bazarov con un sorriso sprezzante.
“Ecco, ecco. Ecco che si permette di scherzare. Lei, quindi, rifiuta tutto? Ammettiamolo. Vuol dire che lei crede nella sola scienza?”
“Le ho già detto che non credo in niente; e cos’è la scienza, in generale? Ci son delle scienze, così come ci sono dei mestieri, della conoscenza, ma la scienza in generale non esiste affatto.” [5]
L’arte, che in sistemi filosofici chiaramente nichilistici (anche se ante litteram) come in quello schopenhaueriano, rivestiva un ruolo di grande importanza, qui viene completamente se non disprezzata, certamente svalutata.
Oltre a queste osservazioni, per avere una comprensione più completa della concezione della figura del nichilista in Padri e figli, sarà necessario concentrarsi anche sulla personalità di Bazarov, che non è solo il protagonista del romanzo, ma l’incarnazione stessa del nichilismo russo per Turgenev.
Bazarov viene descritto come un ragazzo freddo e sarcastico, spesso indifferente e per certi versi altezzoso e pieno di sé, specie con i genitori e con l’amico e seguace Arkadij. Dalle parole del padre, ma anche dalle sue stesse azioni, si comprende come sia un ragazzo che evita di esternare i propri sentimenti e che si infastidisce se qualcuno si mostra espansivo nei suoi confronti:
Le devo dire che io… venero mio figlio; della mia vecchia non parlo nemmeno: si sa, la mamma! Ma io non ho il coraggio di manifestare davanti a lui i miei sentimenti, perché a lui questa cosa non piace. È nemico di qualsiasi effusione; molti lo giudicano perfino male per la sobrietà delle sue abitudini e vedono in essa un segno di superbia o di insensibilità; ma gli uomini come lui non vanno misurati con un metro comune, non è vero? [6]
Al disprezzo per i sentimenti e per le relative esternazioni, si collega anche la valutazione negativa che il protagonista porta avanti nei confronti dell’amore e delle relazioni sentimentali:
E chi lo disprezza?” ribatté Bazarov. “Ma io dico lo stesso che un uomo [Pavel Petrovič] che ha puntato tutta la sua vita sulla carta dell’amore femminile e che quando ha perso s’è abbattuto e si è lasciato andare fino al punto di non essere più capace di far niente, un uomo del genere non è un uomo, non è un maschio [7]
Da queste brevi osservazioni emerge una caratterizzazione del “tipo” nichilista diversa e non per forza coincidente con quella attribuita successivamente al significato che l’aggettivo acquisirà da lì a pochi decenni, come si vedrà più avanti.
Arkadij, un nichilista non riuscito
Come conferma di quanto detto, sarà sicuramente utile fare riferimento ad un altro personaggio importante del romanzo, Arkadij, amico di Bazarov, nipote di Pavel Petrovič e aspirante nichilista. Se all’inizio del romanzo i due ragazzi sono molto affiatati, nel corso della storia si assiste ad un progressivo allontanamento, e alla conseguente separazione dei due.
La rottura tra i due è opera di Bazarov, il quale si accorge della differenza tra lui e Arkadij e della presunta inadeguatezza della personalità di questo per abbracciare una visione nichilistica della vita:
“Io [Bazarov] invece penso: ecco che siedo qui, sotto un covone… Lo stretto posticino che occupo è talmente minuscolo in rapporto con il resto dello spazio dove non sono e dove nessuno sa niente di me; e la parte di tempo che riuscirò a vivere è così insignificante rispetto all’eternità in cui non sono stato e non sarò… E in questo atomo, in questo punto matematico, il sangue circola, il cervello lavora, e vuole anche qualcosa… che assurdità! Che fesseria!”
[Arkadij] “Permetti di notare: quel che dici si può riferire in generale a tutti gli uomini…”
“Hai ragione”, interruppe Bazarov, “io volevo dire che loro […] sono impegnati e non si preoccupano della loro insignificanza, non ne sentono la puzza… io invece… io sento solo noia e rabbia.”
“Rabbia? Perché poi rabbia?”
“Perché? Come perché? Ti senti dimenticato forse?”
“Io mi ricordo tutto, ma non ti riconosco il diritto di arrabbiarti. Tu sei infelice, d’accordo, ma…”
“Eee! Tu, vedo, Arkadij Nikolaevič, capisci l’amore come tutti i giovani moderni: pio, pio, pio, gallinella, ma appena la gallinella comincia ad avvicinarsi, via, di gran carriera! Io non sono così. Io ne ho abbastanza. […] Tu sei un’anima candida, smidollata […]”
[…] Ribatté Arkadij “spero che tu non pensi di separarti da me.”
“La cosa ti rattrista tanto?” Mi sembra che sei tu che ti sei già separato da me. Sei così fresco e pulitino… devono andar benino le tue faccende con Anna Sergeevna.” […]
“E adesso ti ripeto, dicendoti addio… perché, non prendiamoci in giro: noi ci diciamo addio per sempre, e anche tu lo sai… stai facendo una cosa intelligente: non sei fatto per la nostra dura, paziente vita da scapoli. In te non ci sono né insolenza, né cattiveria, ma c’è coraggio giovanile e giovanile entusiasmo; per il nostro scopo questo non va. […] Tu non sei arrivato alla nostra altezza, tu ti pavoneggi, senza volerlo, tu ti compiaci di offendere te stesso […]! Tu sei un bravo ragazzo, ma sei comunque sempre un tenerone, un signorotto liberale […]”
“Tu mi dici addio per sempre, Evgenij?” disse tristemente Arkadij. “E non hai per me altre parole?” […]
“Le ho, Arkadij, ho altre parole, ma non le dirò, perché sarebbe romanticismo; significherebbe diventare sciropposi […]” [8]
Essere nichilista nel romanzo di Turgenev non significa quindi unicamente “considerare tutto da un punto di vista critico”, ma anche adottare uno stile di vita ben preciso e sostenuto da una personalità che sia adatta a ciò. Significa rinunciare all’amore e agli affetti, significa saper odiare[9] ed essere disposti a vivere da soli.
Tutto questo esula dall’ambito prettamente filosofico, ma si riesce a spiegare facendo riferimento al fatto che Turgenev non volesse descrivere un “tipo filosofico”, ma «un tipo di uomo e di atteggiamento, teorico e pratico, che andava imponendosi nella realtà storica del suo tempo. […] Bazarov è l’uomo nuovo, l’eroe del nostro tempo, passato per la dura scuola del lavoro e del sacrificio, destinato a rimpiazzarne la stanca e fiacca nobiltà» [10].
Padri e figli è quindi il ritratto di una società che cambia, di una nuova generazione che avrebbe preparato il terreno per i grandi sconvolgimenti sociali che, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, avrebbero attraversato la Russia.
A Turgenev, quindi, va di certo riconosciuto il merito di aver dato popolarità al termine “nichilismo”, seppur con una accezione differente da quella che si imporrà da lì a poco nel dibattito filosofico occidentale. A tal proposito, Franco Volpi, in un saggio ormai classico, afferma che «non è detto che la definizione di Turgenev cogliesse veramente nel segno. Probabilmente, come testimoniano le molte proteste e rettifiche che essa suscitò, la nuova generazione dei figli era tutt’altro che indifferente ai principi. Solo che essi ormai erano altri: erano quelli della nuova visione positivistica e materialistica del mondo» [11]. Il nichilista d Turgenev è in realtà un positivista e materialista nei panni di un ragazzo, Bazarov, la cui personalità volutamente negativa avrebbe dovuto suscitare nei lettori un sentimento di reazione nei confronti della nuova generazione di russi. Bazarov avrebbe dovuto essere nient’altro che un antieroe, una figura da non prendere come riferimento.
A partire dalla pubblicazione di suddetto romanzo, il nichilismo in Russia divenne ben presto un fenomeno culturale, più che filosofico, in aperto contrasto con le autorità e con l’ordine costituito; in sostanza, si sviluppò come un anarchismo rivoluzionario connotato in senso materialista, intrecciando le sue sorti con quelle del populismo e dell’anarchismo bakuniano.[12]
Il nichilismo in Europa
Nel resto d’Europa, e nel dibattito filosofico occidentale, il nichilismo invece assunse tratti differenti, che trovano massima espressione nelle opere di Friederich Nietzsche – che pur si presenta come superatore del nichilismo -, specie nella raccolta postuma La volontà di potenza, edita la prima volta dalla sorella del filosofo nel 1901. All’interno di questa raccolta si trova il celebre frammento secondo cui nichilismo «significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo al: perché?»[13].
Non è più solo un approccio critico alla realtà, ma è la svalutazione di tutti quei valori e quelle strutture metafisiche ritenute fino ad allora assolutamente valide dalla tradizione: è la presa di consapevolezza della “morte di Dio”, avvenuta per mano dell’uomo e annunciata dall’ “uomo folle”, nell’aforisma 125 della Gaia scienza.
Il venir meno della necessità delle strutture metafisiche (indicato con l’avvenimento della morte di Dio) non affonda le radici solo in motivazioni di carattere politico-sociale, come era avvenuto in Russia qualche decennio prima, ma nella tradizione filosofica occidentale ed è interpretato da Nietzsche come il coerente sviluppo della tradizione platonico-cristiana. La storia del nichilismo, o meglio del platonismo che si fa nichilismo, è tracciata all’interno del Crepuscolo degli idoli, in una sezione intitolata Come il mondo vero finì per diventare favola. La narrazione prende avvio dall’introduzione, con Platone, del dualismo di mondo sensibile, apparente, e mondo delle idee, il mondo vero, che funge da modello per il mondo sensibile.
Quel mondo vero, inizialmente raggiungibile dai sapienti, con l’avvento del cristianesimo diventa prima una promessa, una ricompensa per i virtuosi, poi, con Kant, un mondo indimostrabile e irraggiungibile, finendo prima per diventare indifferente, poi per essere totalmente abolito. L’abolizione di questo “mondo vero” però porta con sé la conseguenza dell’abolizione del mondo apparente, del mondo sensibile; questo non significa che il mondo diventi nulla, ma che viene eliminata la prospettiva di apparenza, prodotta dall’impianto platonico.
La presa di consapevolezza della mancanza di senso del nichilista, quindi, subentra nel momento in cui si rende conto che ciò che credeva reale e in base a cui aveva categorizzato il mondo non è altro che una postulazione dell’uomo stesso, o meglio della sua volontà di stabilizzazione: lo scopo della vita dato dalla tradizione platonico-cristiana ora viene meno, e il suo venir meno induce al concretizzarsi del nichilismo.
Il permanere in questa situazione però significa accettare un “nichilismo passivo”, che non ha soluzioni se non il ripudio stesso della vita, come nel sistema schopenhaueriano. La ricerca del senso della vita (e la conseguente delusione derivante dal fallimento del raggiungimento dell’obiettivo), infatti, si dà proprio nel momento in cui ci si rende conto che un senso la vita forse non ce l’ha, o comunque non sembra renderlo manifesto. A tal proposito Nietzsche afferma che «le categorie di “scopo, “unità”, “essere” con cui abbiamo attribuito valore al mondo, sono di nuovo ritirare da noi- e ora il mondo sembra privo di valore»[14].
Il modo di sconfiggere lo sconforto che deriva dall’incapacità di trovare un senso alla vita, non è quindi, come volevano i russi, «semplicemente rovesciare la gerarchia e porre in alto ciò che stava in basso, apprezzando il sensibile [le scienze di Bazarov] e disprezzare il non sensibile [ciò che in Turgenev è rappresentato dalle arti e dalla poesia]. Bisogna invece uscire interamente dall’orizzonte del platonismo-nichilismo, ossia dalla dicotomia ontologica che esso implica e dalle relative contrapposizioni»[15], bisogna smettere di voler categorizzare il mondo secondo “scopo, unità ed essere”, aprendo la strada ad un nichilismo che possa ora dirsi attivo e far sorgere il superuomo.
Infatti, la delusione rispetto all’assenza di un senso non è altro, come dice Nietzsche, che una causa del nichilismo; un residuo della postulazione di un mondo vero, contrapposto a quello che quotidianamente si dà. Non basta quindi solo prendere atto della caduta dei valori, utilizzare un approccio critico, per usare le parole di Turgenev, ma bisogna anche uscire da una visione filosofica radicata nella società, e smettere di chiedere uno scopo alla vita, continuando piuttosto a “sognare sapendo di sognare”[16].
Trasformazioni del nichilismo
Quanto detto mette in evidenza le notevoli differenze di significato tra il nichilismo russo, legato ad un preciso contesto storico-sociale e destinato a sfociare in movimenti prettamente politici e la prima vera teorizzazione filosofica del nichilismo, che influenzerà fortemente il dibattito filosofico novecentesco. Il concetto di nichilismo, infatti, si è evoluto per gran parte del ventesimo secolo, venendo declinato in molteplici forme e, forse, continuando tuttora a trasformarsi.
[1] F. Volpi, Il nichilismo, Bari-Roma, Laterza, 2023, p.17
[2] ivi, p. 16
[3] I. Turgenev, Padri e figli, Milano, Feltrinelli, 2024, p.38
[4] Ivi, pp. 34-39
[5] Ivi, pp 41-42
[6] Ivi, p. 144
[7] Ivi p. 49
[8] Ivi, pp. 146-202
[9] Cfr. Turgenev, p. 148
[10] F. Volpi, pp. 8-9
[11] Ivi, p. 11
[12]Cfr. F. Volpi, pp. 33-38
[13] F. Nietzsche, Volontà di potenza, Firenze, Bompiani, 2018, p. 9
[14] Ivi, p. 13
[15] F. Volpi, p.57
[16] Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza, af. 54

Complimenti per la profondità e completezza di pensiero.! Complimenti per il compito non facile che si propone. Infiniti auguri per il suo, spero radioso avvenire.