Invertire l’undicesima tesi su Feuerbach: i filosofi devono reinterpretare il mondo?

9 minuti

La filosofia defilosofizzata

Il tentativo di comprendere lo stato di salute intellettuale e culturale delle nostre società viene sempre reso più complicato dalla natura costantemente cangiante del mondo medializzato e digitalizzato. In una sorta di incubo baudrillardiano, ogni tentativo di indicare qualcosa che “non c’è più” viene costantemente compensato da un’alternativa che ne imita le logiche senza ripeterne l’identità. Così, non abbiamo più intellettuali, ma siamo zeppi di opinion makers, non abbiamo più “ceto medio riflessivo”, ma X/Twitter è stracolmo di opinioni, siamo senza grandi filosofi, ma abbondiamo di “pop filosofia” e libri di self-helping.

È in questo innegabile stato di confusione che i tentativi precedenti di saldare idee e mondo devono essere riconfigurati. In particolare, questo destino spetta ad una leggendaria massima di Karl Marx. È difficile immaginare una frase che abbia avuto effetti più radicali dell’undicesima Tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo». Nel bene e nel male, questo semplice conceto -impregnato di possibili complicazioni e linee di sviluppo ulteriori- è stato il monito di molti turbinosi avvenimenti storici del secolo precedente.

Senza entrare nei meandri del pensiero di Marx, è possibile affermare che l’XI tesi è, sostanzialmente, la giuntura in cui si saldano teoria e prassi. Una teoria capace di afferrare a tal punto il mondo e la storia da essere in grado di rovesciarsi istantaneamente in praxis in forza della semplice consequenzialità logica. Ciò è il risultato dell’ampiamente noto rovesciamento che Marx ha operato del pensiero di Hegel, ponendo la dialettica “sulle gambe” e non -come l’idealista- “sulla testa”.

L’elemento che è fondamentale notare è che questo rovesciamento è stato reso possibile/necessario (i due termini, in questa prospettiva, si equivalgono) dallo sviluppo delle condizioni storiche e, soprattutto, economiche.

Giunti a questo punto una domanda ci si apre davanti: posto che i meccanismi storico-economici hanno conosciuto un’evoluzione ulteriore non dovremmo, forse, ribaltare ulteriormente il pensiero? Contestualizzando ulteriormente la questione al giorno d’oggi, davanti al’immensa galleria di mercificazioni della filosofia cui assitiamo ogni giorno (dagli attivisti social -di ogni parte politica- fino alle forme di management filosofico), di fronte a questa “filosofia defilosofizzata” di rapido consumo, non emerge l’urgenza di ripensare e ribaltare l’XI Tesi su Feuerbach?

L’ideologia perfetta di Slavoj Žižek

In uno delle sue giogionesche interviste, il filosofo Slavoj Žižek, rispondendo ad una domanda sulla logica dei movimenti di protesta contemporanei, ha affermato:

Io consiglierei […] due cose: (a) iniziare a pensare. Non essere catturati in questa pressione pseudo-attivista del “facciamo qualcosa, facciamolo” e così via. No, è il momento di pensare. Ho perfino provocato alcuni dei miei amici di sinistra dicendogli che se la famosa formula marxiana era “i filosofi hanno solo interpretato il mondo, si tratta di cambiarlo” […] allora magari oggi dovremmo dire “nel ventesimo secolo, noi abbiamo provato a cambiare il mondo forse troppo velocemente, è tempo di interpretarlo di nuovo, di iniziare a pensare“.

Senza ulteriore indagine, l’affermazione žižekiana non sarebbe dotata di particolare rilevanza. Impegnandosi in una disamina attenta dell’opera del filosofo sloveno, è possibile identificare la struttura teoretica che permette di approdare a questa conclusione nelle pagine del suo primo libro The Sublime Object of Ideology (tr. it. L’oggetto sublime dell’ideologia, a cura di C. Salzani, Ponte delle Grazie, Firenze 2014). Rivolgendosi ad un’interpretazione che accosta la teoria marxiana della forma-merce e quella del soggetto trascendentale kantiano, Žižek scopre che la presunzione marxiana secondo cui il pensiero deve aggredire la realtà sociale concreta attraverso un processo di astrazione talmente perfetto da essere in grado di trasformarsi istantaneamente in concretezza è costantemente invalidata dal fatto che la società vive sì prima del pensiero ma in una forma che è già attraversata dall’astrazione:

Prima che il pensiero potesse giungere all’astrazione pura, l’astrazione era già operante nell’effettività sociale del mercato. Lo scambio di merci comporta una duplice astrazione: l’astrazione dal carattere mutevole della merce durante l’atto di scambio e l’astrazione dal carattere concreto, empirico, sensibile della merce.

(Ivi., p. 27)

Le società, prosegue Žižek, sono costituite da una serie di “astrazioni reali“. Una tale definizione appare, a prima vista, come un ossimoro e una contraddizione. Nondimeno, noi viviamo per tramite di questa realtà contraddittoria, l’esempio del denaro è lampante in questo senso: «sappiamo benissimo che il denaro, come tutti gli altri oggetti materiali, subisce gli effetti dell’uso, che il suo corpo materiale muta col tempo, ma nell’effettività sociale del mercato nondimeno trattiamo le monete come se fossero costituite ‘di una sostanza immutabile’» (p. 45).

Questo scarto fra l’avere coscienza di qualche cosa e il comportamento che verso di essa intratteniamo non solo indica perfettamente la distanza fra teoria e prassi ma rimanda a questioni di psicanalisi. Rivolgendosi all’opera di Lacan, Žižek è in grado di derivare una conclusione da quanto esposto in precedenza ed affermare che, dunque, ciò che la tradizione marxista ha chiamato “ideologia” «non è semplicemente la “falsa coscienza”, la rappresentazione illusoria della realtà; è piuttosto questa realtà stessa che deve essere considerata “ideologica” – “ideologica” è una realtà sociale che esiste a condizione che la sua essenza non sia nota a coloro che vi prendono parte» (p. 40).

L’insufficienza di potenziale critico e rivoluzionario, dunque, non è dalla parte della teoria, come sosteneva Marx, ma precisamente dal lato della prassi. Consegue da ciò un ribaltamento del ruolo dell’ideologia, essa non è una mistificazione, una reificazione atta a mascherare la realtà -e dunque alcunchè di assolutamente parziale– essa è, al contario, «una totalità volta a cancellare le tracce della propria impossibilità» (p. 81).

Reinterpretare il mondo

Dall’analisi žižekiana è possibile trarre un insegnamento importante sul mondo attuale. In un mondo stritolato in un’immensa rete di collegamenti, relazioni, opinioni e immagini avere un perfetto quadro della totalità dei fenomeni e delle azioni che è necessario “fare” intraprendere per cambiare la situazione odierna verso “il meglio” risulta sospetto.

Ciò che Žižek sottolinea è la necessità di non farsi abbindolare dalla fantasia di vivere in una società post-ideologica, poichè «il luogo dell’illusione è nella realtà del fare stesso» (p. 61) allora l’analisi critica della società non deve cedere all’idea di assistere ad un totale smarrimento di senso e orizzonte, poichè ciò farebbe il gioco dell’ideologia totalitaria stessa.

Piuttosto, bisogna pensare la critica dell’ideologia in maniera fedele alla sua origine come un nuovo ribaltamento. Il che significa, come una critica volta a mettere in luce la lacuna e il “chiasmo di non-senso” che costantemente attraversa le costruzioni ideologiche, andando a «invertire il nesso di causalità percepito dallo sguardo totalitario» (p. 176) e mostrando come la prassi non sia che il risultato di un’ideologia dissimulata, di un significato smarrito e, in ultima istanza, ancora una volta il risultato di un mondo concepito a testa in giù.

Giovanni Soda

Classe 2000, ho rinunciato a studiare finanza per fare filosofia, sogno di scrivere per vivere e sono fermamente convinto che concetti, idee e pensieri di ieri riescano a spiegare il mondo di oggi meglio di quanto facciamo noi.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Ultimi articoli di Giovanni Soda