Da Vico a Javier Milei: quando e perchè le nazioni impazziscono?

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In anni recenti abbiamo assistito, in maniera crescente, alla comparsa di leader in controtendenza rispetto allo “spirito nazionale” o, in maniera maggiormente disincantata, all’establishment. Il caso più eclatante è, come spesso avviene, Donald Trump, idolo semi-religioso dei conservatori americani che, però, non ha una biografia particolarmente “patria e famiglia”, essendo alla terza moglie e avendo evitato l’arruolamento  in Vietnam tramite sospetti stratagemmi. I numeroso volti anti-istituzionali che abbiamo visto emergere in tutto il mondo hanno spesso personalità dirompenti, bizzarre e scarsi freni inibitori, arrivando, soventemente, a ricevere l’etichetta di “pazzi”. Ovviamente, si tratta di esagerazioni partorite dalle menti esasperate di buoni borghesi progressisti (che ritengono ancora valido il concetto di “pazzia”). O meglio, era senza dubbio un’esagerazione fino al 19 novembre 2023, quando Javier “El Loco” Milei è stato nominato Presidente dell’Argentina col 55% dei consensi.

Non servono presentazioni dell’eccentrico candidato e della sua ormai iconica motosega, ormai Milei è presidente e il dato di fatto è assodato: l’Argentina, il populismo, il capitalismo, la libertà, la storia sono impazzite, sono state contagiate dalla locura mileiana. 

Questo avvenimento ci offre la possibilità di porre una domanda interessante: le nazioni “impazziscono”?  Certamente, nella lunga tragedia della storia dell’umanità dopo epoche in cui appaiono grandi personalità serie e decise emergono figure stravaganti e frivole2 che, solitamente, coincidono con il momento in cui la prosperità delle nazioni inizia a tramontare. Perchè ciò avviene?

Del raffinamento dei popoli

Giambattista Vico, che con la sua Scienza Nuova ha legato in un unico filo il corso delle cose del mondo e quelle delle idee che lo costituiscono1, comprendeva assai bene che ogni governante è il riflesso della società da cui emerge. Al contempo, Vico sapeva che ognuna di questa società seguiva un percorso (probabilmente) inevitabile: dalle origini barbare, allo sviluppo, alla libertà civile, ai lussi e, infine, nuovamente nella barbarie. Così, il legame fra una data società e il governante che essa stessa produce, risulta seguire inequivocabilmente questa identica traiettoria: 

“Nel gener umano prima surgono immani e goffi, qual’i Polifemi; poi magnanimi ed orgogliosi, quali gli Achilli; quindi valorosi e giusti, quali gli Aristidi, gli Scipioni Affricani; più a noi gli appariscenti con grand’immagini di virtù che s’accompagnano con grandi vizi, ch’appo il volgo fanno strepito di vera gloria, quali gli Alessandri e i Cesari; più oltre i tristi riflessivi, qual’i Tiberi; finalmente i furiosi dissoluti e sfacciati, qual’i Caligoli, i Neroni, i Domiziani”

La sequenza descritta da Vico è evidentemente “negativa” nella misura in cui, invece di indicare un progressivo avvicinamento dell’umanità verso una condizione migliore, descrive una parabola completa composta di progresso e decadenza. Molti commentatori si sono, infatti, soffermati sul fatto che la filosofia della storia vichiana non sia facilmente catalogabile sotto le etichette di “pessimismo” e “ottimismo”, il che genera una differenza profonda fra la riflessione di Vico e quella di altri pensatori dell’epoca, specialmente rispetto alla celebre formulazione di Hegel, per cui «nella natura il genere non fa progressi, mente nello spirito la trasformazione spinge a raggiungere un nuovo stadio, ogni trasformazione è progresso» (Filosofia della storia universale, tr. it. S. Dallavalle, Einaudi, Torino 2003, p. 36). 

Logicamente, ognuno di questi regna su un mondo diverso, su una società che occupa spazi differenti:

“L’ordine delle cose umane procedette, che prima furono le selve, dopo i tugurj, quindi i villaggi, appresso le città, finalmente l’Accademie”

Colonna centrale della teoria vichiana è il legame a doppio filo fra menti umane e “istituzioni”, termine contemporaneo mai utilizzato dal filosofo napoletano, che preferisce classicheggiare ricorrendo all’espressione “cose umane civili”. Gli umani escono dalle selve, creano i “tugurj”, questi rendono la vita meno dura e, dunque, permettono l’affinamento della mente (il “dirozzamento”, come dice Vico), questa, trasforma i tugurj in città, e così via. Dunque, il progressivo aumento di complessità corre di pari passo con il progressivo aumento della capacità intellettiva e astrattiva della mente:

«Gli uomini prima sentono il necessario; dipoi badano all’utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano del piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrappazzar le sostanze»

La fine del senso comune e i “filosofi politici”

Appare evidente come il momento delle “Accademie” coincida con “listrapazzar le sostanze. Questo legame pone una questione fondamentale per il pensiero vichiano, a partire dal certum (ovvero da ciò che oggi chiamiamo “dato empirico”) che mostra le nazioni decadere e crollare, come può il verum (oggetto e anima della filosofia) spiegare il fatto che questa traiettoria venga intrapresa dopo che il massimo splendore viene raggiunto?

Nelle pagine dell’orazione De nostri temporis studiorum ratione (Sul metodo di studi del nostro tempo, tr. it. (a cura di) A. Suggi, ETS, Pisa 2010) Vico introduce una triplice distinzione fra “il vero”, “il verosimile” e “il falso”, affermando che «il vero è uno solo, le cose verosimili sono molte, quelle false infinite». Il “verosimile” intrattiene una relazione strettissima con il senso comune che l’intento pedagogico e metodologico del testo sollecitano particolarmente, la sapienza -secondo Vico- non deve unicamente scoprire il “vero” ma anche accordarlo col “verosimile”. Vale a dire, essa non deve sradicare il senso comune ma edificare il senso comune attraverso una crasi di veridicità ed eloquenza.

Nella Scienza Nuova, per una serie di motivazioni riguardanti lo sviluppo intellettuale contingente alla biografia di Vico, il triplice riferimento a vero, verosimile e falso non appare più, ma, nondimeno, è possibile rintracciarne alcune tracce rimanenti (che Vico definirebbe “rottami”). Innanzitutto, l’autore mantiene una certa preoccupazione per la capacità edificatrice della filosofia, affermando chiaramente che «La Filosofìa, per giovar’al Gener’Umano, dee sollevar, e reggere l’uomo caduto, e debole, non convellergli la natura, nè abbandonarlo nella sua corrozione» (ivi., p. 61 [corsivo nel testo originale]).

Inoltre, nella conclusione del testo Vico introduce la celebre distinzione fra la “barbarie del senso” e la “barbarie della riflessione“, la seconda implica una «fierezza vile» che rende gli uomini «stupidi e storditi» in quanto sedotti dalle «malnate sottigliezze degl’ingegni maliziosi».

Non è permesso costruire una connessione immediata fra “l’istrapazzar le sostanze” delle Accademie e la “barbarie della riflessione“, infatti, Vico non ha mai risolto il problema della posizione della sua opera sul corso storico, come dimostra la vicenda della pubblicazione della Pratica della Scienza Nuova, aggiunta in appendice alla seconda edizione dell’opera (1730) e rimossa nell’ultima (1744), probabilmente per incertezza dello stesso autore.

Nondimeno, Vico prescrive una certa direzione “etica” al pensiero, affermando che la sua stessa analisi è una “filosofia politica” platonica finalizzata alla confutazione di un gran numero di filosofi antichi e moderni3 rei di aver misconosciuto la Divina Provvidenza che guida l’umanità.

Si è molto discusso circa la natura della “Divina Provvidenza nel pensiero di Vico, Giovanni Gentile, ad esempio, la riconduceva al pensiero rinascimentale e al platonismo agostiniano facendo sostanzialmente di Vico un pensatore reazionario anti-moderno4. Isaiah Berlin, di contro, la associava ad Adam Smith ed Hegel5.

Qualunque sia l’interpretazione storiografica corretta, Vico esplicita chiaramente che la Divina Provvidenza insegna alle nazioni il senso comune del genere umano, vale a dire l’insieme di idee comuni che «nate appo intieri popoli tra essoloro non conosciuti, debbon’avere un motivo comune di vero» (p. 63) e costituiscono il patrimonio comune di civiltà che attraversa tutte le nazioni.

È interessante notare come, per Vico, il mondo nella sua epoca sia in un’epoca di splendore in cui quasi ogni nazione ha raggiunto un sofisticato livello di incivilimento: «oggi una compiuta Umanità sembra essere sparsa per tutte le Nazioni». Tuttavia, la storia segue il suo andamento semi-ciclico fatto di “corsi e ricorsi”, e i tempi barbari insidia costantemente l’ordine civilizzato.

Conclusione: vivere in piena decadenza

Non è certamente un caso che la filosofia di Vico sia ritornata in auge negli anni ’20-’30 del Novecento, in cui i nascenti totalitarismi apparivano, agli occhi di autori come Paul Hazard6 e Max Horkeimmer7 precisamente il ritorno della barbarie in seguito ad un progressi di significativo arricchimento materiale e “istrapazzamento” mentale che aveva reso lascivi e vaghi gli individui.

L’insegnamento di Vico è duplice, da un lato, egli dichiara invalido (probabilmente in forza di una certa rigidità cattolica) il dispositivo culturale che vuole legare miglioramento delle condizioni materiali e progresso dell’intellettualità. Dall’altro, il filosofo napoletano costruisce una “teodicea” storica (da qui la sua massima somiglianza con Hegel) in cui ad essere esaltato non è il progresso o il momento rivoluzionario bensì il passato, interpretato come fondamento dell’ordine presente in quanto attraversato dal medesimo “senso comune” che richiede di essere costantemente mantenuto vivo.

Ritornando, in forza di quanto visto, al neoeletto presidente Javier Milei (l’uomo che istrapazza le sostanze a suon di motosega), possiamo apprezzare, attraverso la lente vichiana, una caratteristica presente tanto in lui quanto in altri populisti. È possibile affermare che lo spiccato personalismo che contraddistingue molti leader contemporanei derivi, precisamente, dalla crescente incapacità delle popolazioni di riconoscersi nel patrimonio storico della nazione8, la retorica associata al “tradimento delle elite” (essenzializzata nella frase di Trump del giorno della sua elezione: «We are transferring power from DC back to people») muove in questa direzione.

Inoltre, attraverso Vico sembra possibile spiegarci l’estremismo di questi populisti. Quando le nazioni “impazzano” perdono il loro ancoraggio in un patrimonio comune e condiviso e marciscono in un indivdualismo sfrenato (che Vico chiama “ultimo civil malore”):

«Poichè tai popoli a guisa di bestie si erano accostumati di non ad altro pensare, ch’alle particolari propie utilità di ciascuno; et avevano dato nell’ultimo della dilicatezza, o per me’ dir, dell’orgoglio, ch’a guisa di fiere nell’essere disgustate d’un pelo, si risentono, e s’infieriscono, e sì nella loro maggiore celebrità, o folla de’ corpi, vissero, come bestie immani, in una somma solitudine d’animi, e di voleri» (p. 343)

Ecco che la Provvidenza adopera l’ultima soluzione estrema e «va fare selve delle città, e delle selve covili d’uomini» (p. 344). L’imbarbarimento, la distruzione, sono la misura estrema ai mali della società marcita, poichè dalle macerie risorge la civilizzazione. Così Milei, l’anarco-capaista che parla all’elettorato in preda all’individualismo più lascivo e sfrenato, è precisamente il ricorso storico della distruzione, l’uomo della Provvidenza che accelererà il declino: «L’Argentina sta sprofondando e ha imboccato un sentiero coraggioso. CORRERE! SEMPRE DI PIU’! VERSO LA FINE!»10.

Note e bibliografia
1  G. Vico, Scienza Nuova (1744), p. 74: «L’ordine dell’idee dee procedere secondo l’ordine delle cose».

2 Per ogni Augusto c’è un Eliogabalo, per ogni Lorenzo un Gian Gastone De’ Medici, per ogni Luigi XIV a Versailles, un Luigi XVI sotto la ghigliottina.

3 «Adunque di fatto è confutato Epicuro che dà il Caso, e i di lui seguaci Obbes, e Macchiavello; di fatto è confutato Zenone, e con lui Spinosa, che danno il Fato: il contrario di fatto è stabilito a favor de’ Filosofi Politici, de’ quali è Principe il Divino Platone, che stabilisce, regolare le cose umane la Provvedenza. Onde aveva la ragion Cicerone, che non poteva con Attico ragionar delle Leggi, se non lasciava d’esser’Epicureo, e non gli concedeva prima, la Provvedenza regolare l’umane cose: la quale Pufendorfio sconobbe con la sua ipotesi; Seldeno suppose; e Grozio ne prescindè» (p. 345).

4 Cfr. G. Gentile, Studi vichiani, 1915.

5 I. Berlin, Vico and Herder: Two Studies in the History of Ideas, 1976.

6 P. Hazard, La crisi della coscienza europea, 1935.

7 M. Horkeimer Vico and Mythology in “Vico Studies”.

8 Nel caso di Milei, ciò è avvenuto nella sue dichiarazioni ostili a Diego Maradona, la cui fama in Argentina è ben nota.

10 MILEI CEO DEL COLLASSO in “Il Blast”, visualizzabile qui.

Giovanni Soda

Classe 2000, ho rinunciato a studiare finanza per fare filosofia, sogno di scrivere per vivere e sono fermamente convinto che concetti, idee e pensieri di ieri riescano a spiegare il mondo di oggi meglio di quanto facciamo noi.

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