Il volume The Anthropocene as a Geological Time Unit, pubblicato nel 2019 a cura dell’Anthropocene Working Group (AWG), rappresenta la summa del dibattito sul passaggio di origine antropica ad una nuova epoca geologica. Il volume presenta la più dettagliata rassegna del lavoro svolto dall’AWG a partire dalla sua istituzione nel 2009, al fine di comprovare la «realtà geologica» dell’Antropocene[1], vale a dire l’effettività della trasformazione dei parametri che hanno definito l’Olocene, l’epoca della storia della Terra cominciata circa 11.000 anni fa e nel corso della quale si sono sviluppate le civiltà della storia. Nella quarta sezione di questo testo, dal taglio prevalentemente stratigrafico, viene introdotto il concetto sistemico della «tecnosfera»[2], e, con esso, vengono prese in esame le sue tracce stratigrafiche materiali, i cosiddetti «tecnofossili», fossili di natura ibrida derivati da residui di attività umana. La tecnosfera, sostengono gli autori, fungerebbe quindi da prova ulteriore del passaggio d’epoca e andrebbe perciò studiata adottando i metodi delle scienze naturali, testimoniando dell’impossibilità di scindere realtà geologica e realtà umana, in special modo nell’epoca corrente. Quest’operazione singolare, vale a dire l’inclusione di un fenomeno di origine antropica all’interno di un report geologico, è un tratto che attraversa l’intero dibattito sull’Antropocene, segnalando la vocazione interdisciplinare che ha caratterizzato sin da principio la metodologia dell’AWG.
Ora, coerentemente a quanto detto, l’idea di Peter Haff – geologo e ingegnere americano, padre e fautore del concetto – è che la tecnosfera rappresenti una nuova sfera del Sistema Terra[3], venuta ad aggiungersi alle quattro sfere che compongono il pianeta secondo la concezione standard (litosfera, idrosfera, atmosfera, biosfera)[4], in ragione della «proliferazione della tecnologia nel mondo» che avrebbe caratterizzato la storia umana a partire almeno dalla Rivoluzione Industriale. L’impiego fatto da Haff del termine “technology” – che in inglese unisce i concetti di “tecnica” e “tecnologia” e viene talvolta utilizzato da Haff come sinonimo di tecnosfera[5] – è il più ampio possibile, dal momento che egli, con esso, intende ogni oggetto “artificiale” o elemento prodotto dall’uomo a prescindere dalla sua funzione o dimensione. Qualsiasi “artefatto”, dal più piccolo al più grande, dal martello alla rete ferroviaria del Messico sino agli algoritmi o alle piattaforme informatiche, concorre cioè a comporre la tecnosfera. Di più: persino le istituzioni religiose e culturali, con le loro infrastrutture materiali, ne sono una parte attiva e integrante. Come scrive Haff:
La tecnosfera include i sistemi di estrazione di risorse ed energia su larga scala, i sistemi di generazione e trasmissione dell’energia, le reti di comunicazione, trasporto, finanza e di altro tipo, governi e burocrazie, città, fabbriche, fattorie e una miriade di altri sistemi ‘costruiti’, nonché tutte le parti di questi sistemi, compresi computer, finestre, trattori, appunti d’ufficio e umani[6].
Secondo Haff, la tecnosfera è quindi costituita dall’insieme delle tecnologie di origine umana diffuse e, soprattutto, connesse globalmente, che si sono progressivamente rese «ubique»[7], sino ad autonomizzarsi in una sorta di capovolgimento antiumanistico del rapporto tra uomini e macchine. Quest’ultimo è il punto cruciale: ogni oggetto artificiale o artefatto è parte della tecnosfera in quanto connesso ad una rete tecnologica di estensione globale, che nell’epoca dell’Antropocene è venuta a formare un sistema autonomo analogo alle altre componenti funzionali del sistema terra: litosfera, idrosfera, atmosfera e biosfera[8].
Prima di analizzare più da vicino quest’ultimo aspetto, soffermiamoci sull’elemento centrale che definisce l’approccio di Haff. Ciò che da un punto di vista metodologico caratterizza la genesi del concetto è il tentativo di sganciare l’analisi della tecnosfera da una prospettiva antropocentrica che attribuisce priorità all’umano sull’artefatto tecnologico quale causa della genesi di quest’ultimo, del suo sviluppo, manutenzione e mantenimento. Se, al contrario, «si tenta di andare il più lontano possibile nel trattare i sistemi umani e tecnologici […] senza assegnare a priori alcuna prerogativa speciale»[9], diviene possibile riconfigurare i rapporti di causalità che regolano l’interazione fra uomo e tecnica. Su questo punto, la posizione di Haff è sorprendentemente esplicita: nell’analisi della tecnosfera, occorre tralasciarne il momento più propriamente genetico, «il processo attraverso il quale [… la tecnologia] emerge»[10], per concentrarsi piuttosto sui rapporti di causalità attualmente operativi che ne regolano il funzionamento. Haff, in altri termini, sospende il giudizio sulla matrice storica della tecnosfera per descrivere il suo funzionamento attuale in termini puramente fisico-dinamici, allo stesso modo in cui si descrive un processo geologico.
Da tale prospettiva, che definiremmo come “strutturale” piuttosto che genetica, la tecnosfera può essere descritta nei termini di un sistema fisico dall’estensione globale o, come scrive Haff, un «sistema autonomo globale» (autonomous global system): un insieme dinamico di parti «che dissipano energia mentre agiscono collettivamente per definire le azioni in base alle quali il sistema è definito»[11]. Haff adotta dunque un’accezione dinamica di sistema: si tratta di una totalità organizzata, composta di parti. Queste possono essere a loro volta dei sistemi. Assieme concorrono all’organizzazione del tutto entro parametri definiti dal sistema stesso. La loro autonomia operativa delle parti dipende dall’autonomia del sistema in cui sono incluse, il quale traccia lo spazio di possibilità per la loro azione. L’organizzazione del sistema implica cioè dei vincoli (constraints) che definiscono il regime operativo delle parti.
Secondo la prospettiva di Haff, dunque, la tecnosfera rappresenta un sistema autonomo composto di parti che concorrono al suo funzionamento. Ciò significa, in primo luogo, che tra le parti del sistema non figurano solamente gli artefatti che lo compongono, ma gli esseri umani stessi. In secondo luogo, è la tecnosfera a porre le condizioni, i vincoli, necessari al suo stesso mantenimento e all’azione delle sue parti: «La tecnosfera suggerisce una visione più distaccata di un processo geologico emergente che coinvolge gli esseri umani come componenti essenziali per dare supporto alle sue dinamiche»[12]. Proprio come accade nel caso dei sistemi complessi che emergono a partire dalle loro parti, per poi rendersi autonomi da esse, «la dinamica su larga scala appare spontaneamente e definisce un ambiente all’interno del quale devono operare le componenti di dimensioni ridotte del sistema»[13]. Il ventaglio delle azioni possibili delle parti della tecnosfera è perciò chiuso e definito dal fine del sistema ovvero, in base ad un principio autotelico, il suo mantenimento stesso.
La dialettica fra organizzazione e vincolo traccia quindi il quadro che permette ad Haff di effettuare due operazioni teoriche speculari. La prima consiste nell’attribuire “agency” alla tecnosfera. La seconda, di contro, nel ridurre lo spazio di possibilità per l’azione umana, rendendola strettamente funzionale al mantenimento dalla tecnosfera stessa.
Per quanto riguarda il primo punto, si tratta dell’elemento filosofico centrale della visione di Haff: «L’agency, o il perseguimento di uno scopo, caratterizza il comportamento della tecnosfera»[14]. La tecnosfera non funziona, semplicemente, ma agisce secondo uno scopo, che è appunto quello del suo mantenimento. Con agency Haff intende la capacità di «perseguire un proposito» (pursue a purpose), laddove l’idea di «purpose», così come quella di «agency», viene alienata rispetto al suo significato originariamente umanistico—in particolare quello gramsciano nell’uso del concetto nell’ambito della critica culturale degli anni Settanta[15]. La concezione dell’agency proposta da Haff è piuttosto “fisicalistica”, o, come scrive Haff, «che deriva da regole di sistema generiche o “regolative” che riflettono i requisiti dell’organizzazione»[16]. L’agency regolativa tecnosferica emerge allora come una proprietà dell’insieme che prescinde dalla proprietà delle singole parti. Per giunta questo allargamento della nozione di agency consente di pensare il sistema come se esso possedesse una finalità intrinseca, perseguita in maniera non cosciente tramite la dinamica collettiva delle componenti.
Da ciò consegue linearmente la seconda operazione teorica elaborata da Haff, ossia la riconfigurazione del ruolo dell’umano all’interno del sistema. Abbiamo visto che la regola della performance sancisce come sia il sistema a definire lo spazio di possibilità – «the environment» – per l’azione delle sue parti, e come, viceversa, le parti possano operare solo entro tale spazio. Concretamente, ciò significa che «gli esseri umani sono soggetti agli stessi requisiti normativi derivanti dall’agency tecnosferica, così come lo sono gli artefatti tecnologici»: ogni azione umana apparentemente intenzionale, pertanto, serve in realtàla tecnosfera, concorre cioè al suo mantenimento, «supportando il sistema». E la condizione di radicale dipendenza dell’umano dal più piccolo degli artefatti tecnologici sino alla rete elettrica costituisce il feedback positivo che alimenta e tiene in vita la tecnosfera: l’uso della tecnologia supporta la tecnosfera, che a sua volta rende possibile, e sempre più efficiente, tale impiego. Il progresso della tecnosfera ha quindi reso le sue parti interamente dipendenti dall’ambiente da essa creato, al fine di supportare il suo stesso mantenimento.
Nell’Antropocene l’umano viene declassato da Haff «da primo mobile del cambiamento tecnologico» a «meccanismo soggetto all’agency tecnosferica»[17]. Non più soggetto di prassi e pratiche, ma oggetto dell’agency della tecnosfera, che ne regola e canalizza l’agire. La conseguenza ultima di questa sorta di “spinozismo tecnoferico” è che, per riprendere le parole dell’Etica, anche secondo Haff (ma senz’altro con esiti radicalmente differenti rispetto a Spinoza) «gli uomini si reputano liberi in quanto consapevoli delle loro volizioni e del loro appetito, mentre non sognano nemmeno le cause da cui sono disposti ad appetire e a volere essendone incoscienti».[18]
Soffermiamoci ora sul presunto autotelismo della tecnosfera e le conseguenze “accelerazioniste” che ne derivano. Come scrive Haff, «una descrizione compatta della tecnosfera è che si tratta di un apparato globale che persegue, estrae e compie lavoro con risorse energetiche (per lo più) fossili per provvedere al mantenimento della propria esistenza»[19]. La tecnosfera si mantiene in un processo d’interazione e “sovradipendenza” (overdependence) rispetto alle altre sfere terresti che sfrutta come base materiale. È quanto Haff chiama “metabolismo” della tecnosfera. La tecnosfera, alla stregua di un macroorganismo, estrae acqua dall’idrosfera per impiegarla nell’utilizzo urbano, nell’irrigazione e per sostenere l’industria; si appropria del materiale organico dalla biosfera (come legna e prodotti agricoli); impiega materiali provenienti dalla litosfera per costruire edifici; cattura ossigeno dall’atmosfera per alimentare la combustione delle sue maggiori fonti d’energia, vale a dire combustibili fossili di provenienza biosferica – in una parola, sfrutta il «capitale naturale»[20] accumulatosi nel corso della storia della Terra per produrre e spendere energia. Ora, secondo Haff, tale processo globale di estrazione, necessario ad alimentare la tecnosfera stessa, è soggetto al principio di massima entropia, secondo il quale « sistemi dinamici sufficientemente complessi tenderanno ad evolvere verso uno stato nel quale l’energia è consumata il più velocement possibile»[21]. Il consumo energetico della tecnosfera tende cioè all’incremento, conformemente al feedback positivo di efficienza e sviluppo tecnologico. D’altro canto, però, come tutti i cicli bio-geochimici su cui si basano le altre sfere del Sistema Terra, anche la tecnosfera si mantiene sul lungo periodo solo a patto di assicurare il riciclo delle risorse (finite) estratte e impiegate[22]. Nel caso della tecnosfera, l’inquinante di massa più importante prodotto dalla sua attività è, intuibilmente, l’anidride carbonica, la quale, con i suoi effetti d’alterazione del funzionamento degli altri cicli bio-geochimici, mette in crisi la possibilità del meccanismo stesso di riciclo, non solo a livello tecnosferico, ma anche su scala planetaria. In un’ottica tecnocentrica ed efficientista, non è tanto la produzione d’energia in sé ad essere la causa del riscaldamento globale, quanto piuttosto «l’assenza di meccanismi di riciclaggio adeguati»[23]. È su questo punto che Haff elabora la sua proposta “accelerazionista”. Se, rispetto agli altri cicli bio-geochimici, è vero che la tecnosfera «ricicla molto poco», il suo futuro dipende dalla capacità di accelerare il processo di implementazione tecnologica sino ad aumentare l’efficacia del meccanismo di riciclo, dissipando più energia e più velocemente così da riciclare di più e più velocemente: «dal punto di vista di una tecnosfera autonoma, il cambiamento climatico non è un problema da risolvere usando meno energia, ma usandone di più»[24]. Pur non dilungandosi su questo punto, Haff sostiene come le soluzioni geoingegneristiche rappresentino una strada percorribile a patto che contribuiscano a dissipare energia, e non a limitarla, estendendosi finanche oltre il Sistema Terra, «nello spazio»[25].
[1] J. Zalasiewicz et al., The Anthropocene as a Geological Time Unit. A Guide to the Scientific Evidence and Current Debate, Cambridge University Press, Cambridge 2019.
[2] Ivi, pp. 137 e sgg.
[3] P. K. Haff, Technology as a Geological Phenomenon: Implications for Human Well-Being, in C. N. Waters, J. Zalasiewicz, M. Williams (a cura di), A Stratigraphical Basis for the Anthropocene, Geological Society London, Special Publication, n. 395, 2013, pp. 301–309.
[4] T. Linton, Earth System Sciences. A Very Short Introduction, Oxford, Oxford University Press 2019..
[5] P. K. Haff, Humans and Technology in the Anthropocene. Six Rules, in “The Anthropocene Review”, vol. 1, n. 2, 2014, p. 6.
[6] Ivi, p. 2. Corsivo nostro.
[7] P. K. Haff, Technology as a Geological Phenomenon, cit., p. 13.
[8] Cfr. G. Rispoli, Between “Biosphere” and “Gaia”: Earth as a Living Organism in Soviet Geo-Ecology, in “Cosmos and History: The Journal of Natural and Social Philosophy”, n. 10, vol. 2, pp. 78-91.
[9] P. K. Haff, Purpose in the Anthropocene: Dynamical Role and Physical Basis, in “Anthropocene”, n. 16, 2016, p. 55.
[10] Ibidem.
[11] Ivi, p. 54.
[12] P. K. Haff, Technology as a Geological Phenomenon, cit., p. 396.
[13] Ibidem.
[14] P. K. Haff, The Technosphere and Its Relation to the Anthropocene, in J. Zalasiewicz et al., The Anthropocene as a Geological Time-Unit, cit., p. 138,
[15] S. Hall, Cultural Studies: Two Paradigms, in “Media, Culture and Society”, n. 2, vol. 1, 1980, pp. 57–72.
[16] P. K. Hall, The Technosphere and Its Relation to the Anthropocene, cit., p. 139.
[17] Ivi, p. 141.
[18] B. Spinoza, Etica, tr. it. D. Donna, Rusconi, Bezzo di Badero (BA), 2021,Parte prima, Appendice, p. 52.
[19] P. K. Haff, Humans and Technology in the Anthropocene, cit., p. 4. Corsivo nostro.
[20] P. K. Haff, Technology as a Geological Phenomenon, cit., p. 399.
[21] Ibidem.
[22] Ivi, p. 400.
[23] Ibidem.
[24] Ibidem.
[25] Ivi, p. 405.